Ci sono lacrime e lacrime

Ci sono lacrime e lacrime© Getty Images
di Ivan Zazzaroni
4 min

Le lacrime dei vincitori e quelle dei tanti vinti ai Giochi di Tokyo che si sono conclusi tra altre lacrime di atleti, tecnici, dirigenti, accompagnatori e volontari: quando una splendida e coinvolgente avventura di sedici giorni finisce, esci dal film e torni a essere un interprete del quotidiano.

Le lacrime di Messi - il più grande dopo Maradona -, la cui fragilità è inferiore soltanto alla genialità. Durante la conferenza stampa d’addio ha ripensato ai ventun anni trascorsi al Barcellona e, incrociando gli sguardi di sempre, si è commosso. Quel pianto mi ha ricordato le sue crisi di vomito sul campo nel momento in cui la pressione diveniva insopportabile. Più umano, Leo, ma meno sincero: da settimane trattava col Paris St. Germain, precisamente dagli ultimi giorni di luglio. Quanto mi sarebbe piaciuto sentirgli dire «ci ho ripensato, qui ho dato e ricevuto amore, soddisfazioni, titoli e guadagnato una montagna di denaro (800 milioni). Le cose sono cambiate, la crisi è mondiale e la Liga non ammette più stravizi. Per chiudere la carriera al Barça sono disposto a firmare in bianco, Laporta metta la cifra».

Niente asciuga più velocemente di una lacrima. E i 70 e passa milioni del Psg hanno la capacità di ridurre i tempi di asciugatura.

Ma anche le lacrime di coccodrillo di chi non ha capito, o non ha voluto capire, cosa stesse accadendo nella galassia Suning e all’Inter. Ho letto che tra i responsabili dello sfascio ci sarebbero Marotta e Ausilio. Marotta ha tante colpe, ma non quelle che gli vengono attribuite, e Ausilio la situazione l’ha subita per rispetto dell’Inter, del ruolo e dello stipendio (teniamo tutti famiglia). Avrebbe potuto dimettersi, certo: ha preferito restare, mandar giù qualche rospo e continuare a lavorare.

Di seguito i peccati, “mortali” e veniali, commessi da Marotta:
1) ha tentato, in una fase finanziariamente drammatica, oltre che grottesca sul piano della comunicazione (che lui ha avallato), di vincere lo scudetto sopportando anche l’irrequietezza dell’unico allenatore che gliel’avrebbe potuto garantire, Antonio Conte. Il titolo, ottenuto in condizioni anomale e per gli avversari irregolari, non può tuttavia essere ritenuto una colpa;
2) fece l’impossibile, tra marzo e giugno, per evitare la conclusione del campionato ‘19-20;
3) ha raccontato per mesi che la situazione era comunque sotto controllo;
4) ha tollerato le irresponsabili assenze della proprietà che alla vigilia del primo lockdown rientrò in Cina e da tempo non si muove da Nanchino;
5) ha tentato di andare d’accordo con tutti – destra, sinistra e centro –: del resto lo fa da oltre trent’anni. Essendo ancora il dirigente più esperto e per certi versi abile del nostro calcio, l’ho ribattezzato Democristiano Ronaldo;
6) non si ribellò a Zhang quando gli chiese di accodarsi alla Juve per puntare alla Superlega, progetto che, almeno sul breve, era destinato al fallimento, e per questo non ha lavorato in funzione dell’ingresso dei fondi;
7) all’inizio non diede importanza - ma era stato appena mollato dalla Juve - alle dimissioni di Walter Sabatini e Fabio Capello, i primi ad aver compreso che il calcio e i metodi Suning sono incompatibili.

Marotta è, sì, l’ad dell’Inter, ma resta un dipendente. Preciso che non avrebbe mai ceduto Lukaku: è stato Lukaku, attraverso il suo agente, a cedersi al Chelsea, come aveva fatto l’anno prima col City (non riuscendoci). Zhang non aveva chiesto il sacrificio dell’attaccante belga (l’unica colpa che non gli ascrivo) ma non ha fatto nulla per impedirlo.


© RIPRODUZIONE RISERVATA