Europa e Uefa, il giudizio oltre la Superlega

Europa e Uefa, il giudizio oltre la Superlega© EPA
Alessandro F. Giudice
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Il principio in discussione alla Corte di giustizia europea, nelle udienze di domani e martedì, non è l’agibilità di una Superlega già sconfitta dal mercato e da fattori geopolitici. Il tema sarà stabilire se l’Uefa abusa di una posizione dominante sul mercato europeo del calcio e non rileva che sia un’organizzazione extra-UE (ha sede in Svizzera) perché un principio del diritto comunitario in materia di protezione dei consumatori è la lotta a qualsiasi forma di monopolio, pure se esercitato da persona (fisica o giuridica) con sede fuori dell’Unione.

Dall’altra parte, la posizione Uefa sostenuta da alcuni governi è il riconoscimento di uno status particolare allo sport, nei trattati UE, che potrebbe sottrarre la valutazione economica di un monopolio ai canoni tradizionali di tutela della concorrenza. In altre parole, si dice, esiste un interesse specifico a tutelare l’unitarietà delle competizioni sportive il cui frazionamento finirebbe per danneggiare l’intero sistema. Su questo principio non possono esistere dubbi perché immaginare una Serie A divisa in due o tre campionati, per esempio, porterebbe a danneggiare l’appetibilità della competizione per gli spettatori. Questo varrebbe anche per le coppe europee.

Sul piano economico, la questione è più sottile perché riguarda la funzione esercitata dal 1954 di organizzatrice dei tornei europei, garante di regole e funzionamento, insieme al business imprenditoriale della vendita centralizzata (iniziata nel 1992) dei diritti di trasmissione. La prima le fu assegnata dalla nascita, per iniziativa delle federazioni nazionali; la seconda funzione se l’è costruita negli anni, trasformando la vecchia Coppa dei Campioni nella formidabile macchina di ricavi che è la Champions. Se non può mettersi in discussione il suo ruolo di regolatore, quello imprenditoriale va inquadrato con le lenti di qualsiasi industria in cui la posizione di un monopolista scarica inefficienze (e costi) sul consumatore. Ma è davvero così? Il nodo è la distribuzione di risorse, che i top club vorrebbero naturalmente più concentrata verso chi sostiene i maggiori investimenti per rendere la Champions un prodotto che si vende, in giro per il mondo, come il pane. Noi compriamo i giocatori top, paghiamo rose da centinaia di milioni, dicono, fronteggiamo il rischio imprenditoriale (incluso quello dell’insuccesso sportivo) ma non abbiamo alcun controllo sulle risorse. L’Uefa, dal canto suo, proprio per il suo ruolo istituzionale e il meccanismo politico che porta all’elezione dei suoi vertici, deve assicurarsi il consenso di decine di federazioni minori. Un consenso che si alimenta facendole partecipare in qualche modo al banchetto.

Così, dicono le big, non si estrae il massimo del valore inespresso che il calcio europeo di élite potrebbe generare. Allargare le competizioni comporta la necessità di confrontarsi in gare spesso squilibrate, per il divario tecnico in campo, che abbassano l’interesse degli spettatori. Si potrebbe incassare di più giocando più partite, ma alzandone il livello. Nel frattempo, il fronte della Superlega si è sgretolato, soprattutto perché le inglesi non hanno interesse a indebolire una macchina da soldi come la Premier, che garantisce loro una supremazia tecnica monetizzabile in Champions ed Europa League.

L’impressione è che l’Uefa abbia vinto la guerra politica ma un’interpretazione di tipo antimonopolista da parte dei giudici europei rimetterebbe molte cose in discussione. Sbaglierebbero i suoi vertici a considerare la vittoria definitiva e imperitura. L’afflusso di investitori americani spingerà verso una struttura più cooperativa dei tornei calcistici europei, in cui badare alla crescita complessiva cercando di garantire certezza dei flussi finanziari attraverso meccanismi che rendano meno decisivo il risultato sportivo. Una spinta che l’Uefa proverà in futuro a cavalcare (c’è da prevederlo) garantendo certezza della partecipazione alle big o allargando l’area di consenso con più posti ai grandi mercati. Come accadrà già con la Premier, che potrebbe avere cinque squadre nella Champions con nuova formula.


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