De Sisti: “Pelé la perfezione del calcio”

Il ricordo dell’uomo che lo sfidò nella finale mondiale del 1970: "Aveva tutto: Maradona con il gioco di testa, Cruijff con in più le stimmate del fantasista"
De Sisti: “Pelé la perfezione del calcio”© Getty Images
Marco Evangelisti
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Giancarlo De Sisti, disturbiamo?

«No, no. È solo che mi stanno chiamando tutti e comincio a fare confusione ».

Abbiamo perso il Numero Dieci. Ovvio che cerchino lei, l’altro dieci, testimone oculare e vittima.

«L’altro dieci nemmeno da lontano. I dieci stavano in quel Brasile che ci fece a fette. Quasi tutti dal centrocampo in su ».

Non ci dirà che Pelé era uno dei molti.

«Fossi matto. Pelé era della stirpe dei fenomeni. Campionissimo va bene come definizione. Il numero uno di sempre, probabilmente ».

Ci spieghi perché, lei che l’ha visto in faccia anche troppo da vicino.

«Vediamo. Fino a chi porta il confronto? ».

A Maradona?

«Ecco, Maradona. Formidabile, uno che accarezzava il pallone. Sembrava giocasse con le mani, tale era la delicatezza del tocco. Una somma di qualità molto vicina a quella di Pelé ».

Ma non uguale.

«Il piolo in più che sale Pelé è il gioco di testa. È anche vero che vent’anni di evoluzione del calcio li rendono molto diversi, forse troppo per un vero paragone. Però: Maradona ha sconvolto l’Italia, Pelé ha girato il mondo; Maradona ha vinto un Mondiale, Pelé tre e mezzo. Nel 1966 non ci riuscì perché lo pestarono per bene ».

Lei che cosa ha fatto quando se lo è trovato di fronte?

«L’ho scansionato. Tocco di palla migliore di quello di chiunque altro. Con quale piede? Perché tutti concedono un piede all’avversario. Beh, lui no. Dribbling? di ogni genere, dal superamento essenziale dell’uomo alle veroniche. Lì ci siamo. Parliamo del tiro in porta? Sapeva calciare forte o a parabola, di destro e sinistro. Cambiava gioco, anche questo con entrambi i piedi. Con tutto ciò ci segnò di testa, tanto di cappello a lui».

Si è spiegato.

«Do atto a Maradona di essere venuto in Italia a sfidare le difese più solide del mondo, all’epoca. D’altronde Pelé non si è tirato indietro davanti a niente, dovunque lo portasse il Santos . Visto da vicino, dava veramente l’impressione di essere una bestia».

Però da quel Santos, a parte l’esperienza di fine carriera a New York, Pelé non si volle mai muovere.

«Ma con quel Santos andava dovunque a mostrare e insegnare che livelli di arte il calcio potesse raggiungere ».

A parte la finale del Mondiale 1970 con l’Italia, in quali altre occasioni vi siete incontrati?

«Ho giocato contro di lui in tornei amichvoli sia con la Roma sia con la Fiorentina. In entrambe le occasioni ci vennero a cercare e ci fotografarono insieme. Inoltre ho un’altra foto con Pelé, scattata al Mondiale del 1998 a Parigi. Ci mise in contatto Falcao e lui mi abbracciò. Forse voleva solo farmi contento. Fuori del campo non lo conoscevo bene. Mi dicono possedesse quell’umanità che non stona con l’essere un fenomeno sportivo. Chi è bravo e si dà arie per quanto mi riguarda torna a zero: si rimangia l’intera dote ».

All’epoca il calcio era più facile o più difficile di oggi?

«Per gente come Pelé significava comunque trovarsi con marcatura fissa addosso e raddoppio. Poi non è che milleduecento gol li fai segnando solo contro il Pizzicannella. Pelé decideva i Mondiali e averlo in campo era un’altra cosa qualsiasi fosse l’avversario . Ah, una volta l’ho battuto». 

Davvero? Quando?

«A una cena a base di porchetta e vino. Sempre in Francia, se non sbaglio. Nel mangiare e nel bere non mi stava dietro ».

Vi siete mai scambiati la maglia?

«No, ma la forchetta sì ».

Che giocatore sarebbe Pelé nel calcio di oggi?

«Lo ha detto lui stesso: per quanto grossi e veloci possano diventare i calciatori nessuno sarà mai più veloce del pallone, e io il pallone lo faccio arrivare dove voglio».

Lei, da allenatore, come lo schiererebbe?

«Ricorda “Fuga per la vittoria”? Lo schema è: datemi la palla e ci penso io. Certo oggi con questa storia che se non costruisci dal basso non sei nessuno, con quel modo di manovrare attraverso duecento passaggi all’indietro, lo vedrei bene pure davanti alla difesa a impostare ».

Un giocatore di tale universalità magari trova il suo erede più vicino non in uno dei grandi fantasisti come Maradona o Messi, bensì in un Cruijff.

«Io su Cruijff ho una mia idea. Eccellente giocatore, ma la sua vera grandezza sta nell’aver seminato nel mondo, da tecnico, il seme del calcio olandese e averlo infine piantato a Barcellona, dando origine alla scuola in seguito portata avanti da Guardiola. Le stimmate del calciatore sommo, quelle appartengono a Pelé . E basta».


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