"Io ho paura di morire, eh. Non so quando si spegnerà la luce che cosa ci sarà dall'altra parte, ma in un certo senso sono anche eccitato dal poterlo scoprire - aveva confessato Vialli nel docu-show “Una semplice domanda” di Alessandro Cattelan su Netflix - Però mi rendo anche conto che il concetto della morte serve per capire e apprezzare la vita. L'ansia di non poter portare a termine tutte le cose che voglio fare, il fatto di essere super eccitato da tutti i progetti che ho è una cosa per cui mi sento molto fortunato”.
Il rapporto con la malattia
Quando parlava della sua malattia e di come la stava affrontando Vialli diceva: “Io con il cancro non sto facendo una battaglia perché non credo che sarei in grado di vincerla, è un avversario molto più forte di me. Il cancro è un compagno di viaggio indesiderato, però non posso farci niente. È salito sul treno con me e io devo andare avanti, viaggiare a testa bassa, senza mollare mai, sperando che un giorno questo ospite indesiderato si stanchi e mi lasci vivere serenamente ancora per tanti anni, perché ci sono ancora molte cose che voglio fare. So che, per quello che mi è successo, ci sono tante persone che mi guardano e, se sto bene io, possono pensare stiano bene anche loro. Forse perché sono stato un giocatore e un uomo allo stesso tempo forte ,ma anche fragile e vulnerabile, quindi credo che qualcuno possa essersi riconosciuto in questo. L’importante non è vincere, è pensare in modo vincente. La vita è fatta per il 10% da quel che ci succede e per il 90% da come l'affrontiamo. L'abbraccio con Roberto a Wembley stato un completo. C’era l’abbraccio sportivo, c’era la paura che aveva condizionato entrambi negli ultimi anni per via delle mie condizioni. È venuto a galla tutto questo: le nostre lacrime erano pieni di questi sentimenti in un colpo solo. Un abbraccio più bello di quando gli passavo la palla e lui faceva gol".