Scenari inquietanti, ma per il caso D’Onofrio non ha pagato nessuno

Trentalange è stato assolto ma il lavoro della procura Figc configura scenari preoccupanti. L'ex n.1 dell'Aia voleva patteggiare pre deferimento, Chiné disse no
Scenari inquietanti, ma per il caso D’Onofrio non ha pagato nessuno© ANSA
Giorgio Marota
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ROMA - Nessuno sapeva, nessuno controllava e nessuno - questo dicono le sentenze - poteva farci niente. E così uno dei più grandi scandali del calcio si conclude senza colpevoli, almeno secondo la giustizia sportiva: Rosario D’Onofrio, direttamente dal carcere dov’è finito per traffico internazionale di stupefacenti, ha presentato da mesi le sue dimissioni «irrevocabili» dall’Aia evitando quindi il giudizio della commissione di garanzia, Alfredo Trentalange ha rinunciato alla carica di presidente dell’Associazione Arbitri ed è stato assolto due giorni fa dalla Corte d’Appello (dimettersi è stata la mossa decisiva?) e la politica arbitrale ha voltato pagina, eleggendo il 16 aprile Carlo Pacifici. La macchia alla reputazione del movimento, però, resta. Perché al di là della vicenda disciplinare, vi è una responsabilità morale di chi ha nominato un uomo che in ambienti criminali veniva chiamato addirittura “Rambo”, che falsificava curriculum e documenti, trafficando droga mentre condizionava le carriere degli arbitri. E la procura federale, che ha indagato sulle responsabilità di chi poteva evitare tutto questo, avendo capito per prima la pericolosità del personaggio (lo deferì in tempi non sospetti...), ieri è finita al centro di un polverone mediatico dopo l’assoluzione di Trentalange, condannato a 3 mesi di inibizione in primo grado. Il procuratore Figc Chiné ne aveva chiesti sei. Il “dietrofront” in appello certifica l’indipendenza degli organi endofederali e, pur assolvendo lì dove si chiedeva una condanna, non pregiudica affatto un lavoro d’indagine molto approfondito, tale da configurare scenari comunque preoccupanti per la categoria. 

I fatti

Rosario D’Onofrio, promosso a procuratore capo nazionale mentre era ai domiciliari, è stato arrestato un’altra volta il 12 novembre 2022 dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Milano. E pensare che un mese e mezzo prima, Trentalange difese la sua categoria con una frase: «Noi non siamo la mafia!». Quando si dice il tempismo... Per evitare il commissariamento dell’Aia, il presidente si è dimesso a fine dicembre, mentre il 20 gennaio è stato deferito per violazione dell’art 4.1 («lealtà, probità e correttezza»). Tra le incolpazioni, l’omissione di qualsiasi iniziativa volta ad accertare i requisiti professionali e la moralità di D’Onofrio, oltre ad aver avallato le continue assenze del collega (che ha intascato 5.247 euro di rimborsi treni per viaggi mai fatti). Ma c’è un retroscena, fin qui rimasto nascosto: Trentalange, attraverso i suoi legali (uno è Presutti, storico avvocato di Lotito, qualcuno ci vede un collegamento sul fronte anti-Gravina...), aveva chiesto a Chiné di patteggiare. Un’ammissione di responsabilità? Il procuratore Figc, comunque, disse no tale era «la gravità dei fatti contestati». La stessa procura federale aveva attenzionato il comportamento di “Rambo” anche nel periodo in cui era in carica, in seguito alla denuncia dell’assistente Avalos che raccontò di essere stato dismesso a causa di alcuni voti appositamente abbassati; D’Onofrio, con metodi discutibili, lo invitava a non parlarne. Nonostante questo, l’Aia ha continuato a proteggerlo. Perché? Una volta che la notizia dell’arresto ha fatto il giro del mondo, Trentalange ha fatto un passo indietro prendendosi la responsabilità politica della vicenda come gli chiedeva il consiglio federale. Ma due giorni fa ha dimostrato in tribunale la propria estraneità ai fatti (la Corte ha deciso all’unanimità e la sentenza, secondo quanto filtra, avrebbe solidissime basi giuridiche), uscendone come uno al quale un amico l’ha fatta sotto al naso. Tutto qui? 


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