Arabi, sembrava un calesse invece era un bulldozer

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Arabi, sembrava un calesse invece era un bulldozer© Getty Images
Alessandro Giudice
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L’assalto dei petrodollari sauditi ai campionati del vecchio continente non è più un rischio ma una certezza. Quando l’allora sconosciuto Al-Nassr scaraventò 200 milioni di dollari per CR7, la mossa sembrava un capriccio, una mattana. Sensazionalismo e null’altro. In fondo, il tentativo di spostare l’asse del calcio mondiale con quantità sproporzionate di denaro non era una novità. Ci aveva provato la Cina, prima del clamoroso dietro-front imposto dal governo che ad un certo punto non gradì l’uscita di flussi di denaro così corposi e la bolla cinese implose in pochi mesi. L’avanzata saudita non sembra destinata a subire la stessa fine. Il progetto di creare da zero una delle leghe calcistiche più attrattive al mondo rientra in un disegno più generale: impiantare l’economia di mercato, avviare l’apertura del paese (a cominciare dalla normalizzazione di certi eccessi restrittivi), costruire l’industria nazionale in un regno sempre trainato dallo sfruttamento dell’unica risorsa naturale. Nella stagione in corso la Saudi Pro League, secondo numeri di Transfermarkt, si attesta già al sesto posto nelle spese per il calciomercato con 145 milioni spesi, subito dopo i Big Five tradizionali e a breve distanza dalla Liga. Ma l’acquisto dei cartellini non dice tutto del volume di fuoco scatenato perché le vere proposte shock sono quelle ai calciatori: contratti inavvicinabili per i parametri degli altri campionati. Il fatto è che questi sono vincolati dall’equilibrio tra ricavi e costi mentre i club sauditi (di cui quattro acquisiti direttamente dal fondo sovrano) possono spendere risorse infinite. Lo svuotamento delle leghe europee, non solo di campioni sul viale del tramonto ma pure di giocatori nel pieno della carriera, è in atto senza che nessuno possa prevedere il punto di caduta. La trasformazione dell’Arabia Saudita in un’economia di mercato non passa solo dal calcio ma lo sport è sicuramente veicolo di visibilità. Anche il golf, la boxe e perfino gli sport elettronici sono terreno di conquista. Negli ultimi 18 mesi, riferisce il Financial Times, i sauditi hanno speso quasi 8 miliardi per acquisire società di gaming: un approccio-bulldozer applicato trasversalmente in ogni industria. Nel gaming, settore tradizionalmente vivace perché dominato da imprenditori che mirano a portare la startup in borsa o nell’orbita di grandi conglomerati, i soldi comodi hanno gioco facile rischando di azzerare le energie imprenditoriali finché pare agevole vendere agli arabi. E nel calcio?


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