L'intervista esclusiva a Moriero: "Mazzone, come un secondo padre per me"

"Mi ha lanciato a Lecce, e poi protetto e reso famoso. Chi lo credeva catenacciaro non conosceva il suo calcio offensivo e lo feriva"
L'intervista esclusiva a Moriero: "Mazzone, come un secondo padre per me"© ANSA
Guido D'Ubaldo
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Checco Moriero considera Carlo Mazzone un secondo padre. Da quando lo ha tolto dalla strada a Lecce e lo ha portato in prima squadra, all’epoca era ancora minorenne. Mazzone non è stato solo un allenatore, lo ha seguito anche fuori dal campo, gli ha dato consigli nella vita privata e anche dopo, quando ha intrapreso la carriera di tecnico. Da quasi due anni Moriero è il selezionatore della Nazionale delle Maldive, ha ottenuto buoni risultati. A ottobre riprende l’attività, ma potrebbe non tornare nel Paese tropicale, in attesa di una nuova esperienza per rientrare nel calcio che conta. Sabato la notizia della scomparsa del suo maestro gli ha dato un grande dolore, oggi sarà ad Ascoli per l’ultimo saluto al suo secondo padre. 

Moriero, chi è stato per lei Carlo Mazzone? 

"Ho saputo della sua scomparsa dal direttore sportivo Gigi Pavarese, mi ha chiamato piangendo. Sapevo che non stava bene, ma è stato un brutto colpo. A lui mi legano grandissimi ricordi, mi ha preso da ragazzino, facevo parte della covata del Lecce con Garzya e Conte. Ci ha preso dalla strada, per me è stato un secondo padre. Mi portò per 40 giorni in ritiro con lui perchè aveva paura che mi smarrissi. Facevo colazione, pranzo e cena con lui. Mi stava addosso con affetto. Non voleva che mi comprassi la macchina perchè, diceva, i soldi servivano per aiutare la famiglia. Quando ho esordito in Nazionale a Parma con due gol venne a vedermi. Ma alla fine mi disse che non era contento, perche non avevo fatto il tornante da bandierina a bandierina come voleva lui".  
 

Non sempre il suo calcio era apprezzato

"Amava il calcio offensivo. Nella Roma giocavamo con due punte, io e tutti centrocampisti offensivi. Lui soffriva per il luogo comune del catenacciaro. Mi ricordo come giocò il derby vinto con la Roma e qualche anno prima la salvezza in casa ottenuta dal Lecce contro il Torino. La stampa nazionale tifava per i granata e questa cosa non l’accettava. Si comportò come fece prima del derby vinto a Roma: attaccò negli spogliatoi le pagine dei giornali. A Lecce la gente ancora gli vuole bene, con lui lo stadio era sempre pieno". 
 

Insieme a Mazzone a Lecce, poi a Cagliari e a Roma. 

"Mi fece esordire in Coppa Italia a Lecce contro la Juventus, poi mi portò a Cagliari anche se la società si era messa d’accordo con il Foggia di Zeman. Dopo due anni a Cagliari, Cellino mi aveva ceduto alla Lazio, ma io rifiutai per andare alla Roma". 
 
Quando seppe che avrebbe esordito contro la Juventus in Coppa Italia? 

"Venne a chiamarmi mio padre in spiaggia. Era la fine di agosto, tra ragazzi si facevano tornei al mare. Tornai di corsa e andai in ritiro. Arrivai per cena e il mio nome era scritto davanti all’ascensore, tra quelli degli altri che avrebbero giocato. Mazzone mi incrociò sull’ascensore. Mi chiese: “a ragazzi’, sei emozionato?“. Io fino a un momento prima pensavo di andare in panchina. Risposi secco: “no”. Lui mi gelò in romanesco: “che me frega, domani giochi”.  
 
Tre anni in giallorosso senza grandi soddisfazioni.

"La sconfitta contro lo Slavia Praga fu una grande delusione, non posso dimenticarla. Mazzone alla Roma dava tutto se stesso. La domenica consegnava le magliette ai calciatori che scendevano in campo. Quando toccava a me mi diceva: “Ahò, guarda che devi fare, ricordati chi ha indossato questa maglietta”. Era la 7, quella di Bruno Conti. La sua passione per la Roma riusciva a trasmetterla ai suoi giocatori, in quegli anni c’erano parecchi romani, ma anche gli altri erano coinvolti. Era molto simpatico, molti diretto, ma la domenica si trasformava, dai calciatori voleva sempre il massimo, per lui erano tutti uguali. Nella gestione era molto bravo. A me ha dato la possibilità di diventare famoso, non lo dimenticherò".  


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