Esclusivo, Zola denuncia: "Società alla canna del gas, vivai distrutti"

Magic Box, oggi figura di rilievo della Lega Pro, scuote tutto il calcio italiano: "Il danno per il sistema, e di riflesso per la Nazionale, è enorme"
Esclusivo, Zola denuncia: "Società alla canna del gas, vivai distrutti"
Ivan Zazzaroni
8 min
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Nelle intenzioni (mie) doveva essere un’intervista; nelle sue, l’occasione per una denuncia necessaria. Presa la palla, Gianfranco Zola non l’ha più mollata. Tenendo al minimo il registro polemico, ha aperto la Magic Box della disapprovazione e dell’apprensione: «Decine di società di Lega Pro e dilettantistiche, in particolare quelle delle categorie inferiori, sono a rischio estinzione. Oltretutto rapida. Ogni giorno riceviamo decine di segnalazioni dello stesso tenore. L’abolizione del vincolo per i ragazzi dai 14 ai 19 anni sta creando enormi scompensi». 

Gianfranco, il vincolo è antistorico. L’argomento, spinoso.  
«Lascia che ti spieghi». 
 
Premessa. Tutto partì dall’ex ministro con delega allo sport Vincenzo Spadafora che, per sua stessa ammissione, di sport sapeva poco o nulla. Il decreto legislativo ha fatto il suo corso, ricevendo il sostegno di Giancarlo Giorgetti, e alla fine Andrea Abodi non ha potuto fare altro che sottoscriverlo. «Non posso dire di conoscere perfettamente il background della norma, l’iter» ammette Zola «penso sia stata introdotta per coprire un vuoto legislativo. Mi hanno detto che nel periodo del covid si era reso necessario regolamentare l’attività degli operatori del settore dilettantistico. Così almeno mi è stata spiegata… È apprezzabile quello che ha affermato ieri il ministro Abodi incontrando le società di Lega Pro. Si è detto disponibile a ricevere le nostre osservazioni e a discuterle insieme». 
 
Più danni che benefici insomma. 
«Tutte le società che investono tempo, denaro e risorse di vario genere per allevare giovani calciatori si ritrovano nella condizione di dover fare dei tagli, poiché la valorizzazione dei ragazzi non porta più ricavi e quindi non consente di proseguire. Per questo si lamentano. L’obiettivo che Matteo (Marani, presidente della Lega Pro, nda) ed io ci siamo posti è quello di spingerle a investire tempo, denaro e attenzione soprattutto nei vivai. Riteniamo che per la serie C sia un percorso fondamentale, la direzione, quella della sostenibilità. Troppi club spendono tanto e raccolgono briciole, uno dei modi per garantirne la sopravvivenza è indurli a lavorare prevalentemente nel territorio per formare giovani, alcuni dei quali possono arrivare al professionismo. Ma non è necessario. Il momento chiave è la cessione a squadre di livello superiore e quindi l’ingresso di risorse esterne utili per andare avanti».  
 
Il tema, lo ripeto, interessa tanto le professionistiche quanto le dilettantistiche. 
«Certo, i dilettanti e i nostri, i professionisti. Il vincolo è stato ridotto da cinque a due anni e molte società sono consapevoli che perderanno i ragazzi più bravi. Ti rendi conto che chi ha un ragazzo di valore e nessuna protezione davanti alle richieste di club o agenti disposti a portarlo via a zero, è fregato in partenza? Per molte realtà sono vitali anche i 10, 20, 30mila euro in un anno, e non sempre, del premio di formazione». 
 
Soffermiamoci sui dilettanti. 
«La prendo alla lontana. Con questa riforma le società sono costrette, per i piccoli rimborsi che riconoscono ai volontari del pallone, a iscrizioni all’Inail, alla produzione di cedolini paga, a contratti di Co.co.co. Sono obbligate alla sottoscrizione di accordi farsa. Si parla di contratti collettivi come se si trattasse di multinazionali. Chi l’ha ispirata non ha considerato gli addetti alle pulizie degli spogliatoi, i giardinieri, i manutentori, le persone alla biglietteria, tutte figure per le quali risulta necessaria l’assunzione. Solitamente queste attività sono delegate a pensionati, genitori o altri volontari che ora, per paura che vengano toccati diritti acquisiti, affitti e altro non firmano e preferiscono lasciare il compito. Al di là della tristezza della situazione, tutto ciò per le società comporta un aggravio dei costi di oltre il 30%». 
 
La riforma distrugge l’associazionismo. 
«Per far sopravvivere certe strutture, a questo punto e su queste basi, è molto meglio la conversione degli impianti a campi per il padel».

Già. Il colpo di grazia l’ha dato la Figc con la modifica del NOIF. 
«L’abolizione del vincolo non è stata accompagnata dalla garanzia di una premialità: quando il giocatore dilettante saliva nei professionisti il premio di formazione consentiva alla cedente di ottenere un ritorno economico. Il vuoto legislativo tra l’uscita delle nuove norme e le modifiche ha permesso un’indiscriminata “razzia” di talenti. In Francia e in Germania non esistono i vincoli, ma la federazione contribuisce alla gestione dei centri sportivi, alla formazione degli allenatori. Da noi tutto ha un prezzo: cartellini, iscrizione ai campionati, corsi di formazione per allenatori, arbitri e altro». 
 
Non mi sorprende il fatto che la norma sia stata appoggiata dall’Associazione Calciatori. Da tempo non ne combina una giusta. 
«Mi astengo».  
 
È altrettanto vero che le società professionistiche, sfruttando il decreto crescita, puntano preferibilmente sullo straniero.  
«È fiscalmente più conveniente, certo. Noi crediamo che i nostri vivai debbano essere protetti. Dobbiamo fare in modo che le parole vengano sostituite dai fatti. Tutti a criticare il campionato dei pochi italiani quando le cose vanno male e poi ci ritroviamo con norme che limitano ulteriormente la formazione dei nostri giovani. La C può essere il luogo ideale per crescerli, ma le leggi devono aiutare, non penalizzare». 
 
Purtroppo è difficile tornare indietro. Cosa si può fare? 
«Io questo non lo so, sicuramente noi il malessere abbiamo il dovere di trasmetterlo. Quale sia la soluzione non sta a me dirlo. Se non denunciassi il problema mi darei dell’irresponsabile, risulterei una presenza inutile». 
 
Toglimi una curiosità: cosa o chi ti ha spinto ad accettare la proposta di Marani? In fondo hai avuto solo esperienze nel grande calcio. 
«Ma sono partito dall’allora C2 e queste cose me le ricordo bene. Mi sono fatto convincere immediatamente, innanzitutto perché Matteo è uno che vuole il bene del calcio, di conseguenza io, partito da quella categoria, mi sono sentito in dovere di accettare e con estremo piacere. Ho messo a disposizione il mio know how». 

Negli ultimi anni il rapporto dei giovani con il calcio è molto cambiato.  
«C’è un problema di fondo e riguarda gli interessi, i gusti delle nuove generazioni. Che crescono nella velocità, tanti puntano l’obiettivo ma mettono in secondo piano il percorso: vogliono arrivare più in fretta di un tempo e la società li incoraggia a pensare così». 
 
Chiusura nostalgica. Gianfranco, ricordi l’intervista in un bar di Parma, era a novembre, un freddo cane, quando poche ore dopo saresti partito per Londra? Quel giorno Calisto Tanzi ti aveva venduto al Chelsea. 
«Era il ’97, la organizzò Morabito. Parlai al telefono anche con Gianni Mura per Repubblica, glielo dovevo. Eravamo giovani, Ivan». 
 
E poi ti presentasti al centro sportivo del Chelsea indossando un maglione raccapricciante. 
«Roberto (Di Matteo, nda) mi prende per il culo ogni volta che ci incontriamo. Roba da far invidia al giubbotto col pelo di Cassano il giorno della presentazione al Real... Un’esperienza fantastica, la Premier. Professionale e umana. Noi italiani eravamo molto considerati perché venivamo da una grande serie A. Li abbiamo aiutati a crescere, ma il loro progetto era vincente: impianti, stranieri, risorse, la federazione pronta a sostenere i club. E oggi sono quello che sono». 
 
Sei tornato a vivere in Sardegna ma i tuoi figli si sentono londinesi. 
«Andrea ha 32 anni, si occupa con me di investimenti finanziari e fa l’istruttore di golf. Martina ne ha 31, anche lei mi dà una mano. Il più piccolo, Samuele, va all’Università». La Magic Box, la scatola magica, si chiude sui figli. Ma merita di essere riaperta. 


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