Svincolo cieco, i dilettanti protestano

La denuncia di Gianfranco Zola trova ampi consensi: l’abolizione pluriennale del vincolo ha messo alle corde i club minori
Svincolo cieco, i dilettanti protestano
Giorgio Marota
7 min

ROMA - Il vincolo della discordia è una ferita aperta per i dilettanti. Qualcuno la considera una norma «anacronistica», e in effetti si trattava di un unicum in Europa, ma pur con le sue storture teneva ancora in piedi un sistema fragile, i cui frutti sono ben visibili nell’attuale Serie A con decine di calciatori protagonisti della cosiddetta “trafila” dalle giovanili di provincia al professionismo. Quello stesso sistema ora rischia di venir giù con l’abolizione del legame quinquennale di esclusiva tra club e tesserati. «Decine di società sono a rischio estinzione, oltretutto rapida. L’abolizione del vincolo sta creando enormi scompensi» l’allarme lanciato da Gianfranco Zola al Corriere dello Sport-Stadio. I club sono preoccupati e impauriti, i loro presidenti tremano all’idea «che venga spazzata via l’intera filiera» come ci ha raccontato Maurizio Romei della Settignanese, realtà giovanile di alto livello alle porte di Coverciano dove hanno mosso i primi passi anche Tonelli e Federico Chiesa. La denuncia di Magic Box è stata condivisa dalla base. «Oggi le società professionistiche vengono a fare razzie dei migliori talenti, senza spendere un euro e spesso illudendoli con promesse di carriere mirabolanti». La cancellazione del vincolo è realtà da luglio, ma c’è voluto parecchio tempo per renderla una “norma”, essendo nata dentro una riforma poi spacchettata in decreti sopravvissuti addirittura a quattro governi.

Il premio di formazione

Prima, il tesseramento di un atleta era bloccato dai 14 ai 19 anni. Oggi resta il legame biennale per i “giovani di serie” (nei professionisti) se hanno acquisito la qualifica prima del compimento del 15° anno di età; mentre è stagionale per tutti gli altri, a meno che non vi sia un contratto di apprendistato (massimo di tre anni). Alle società può venir meno il patrimonio rappresentato dal parco giocatori - è come se li avessero sempre in prestito - e, d’altra parte, la loro permanenza rischia di diventare un ulteriore costo. Senza vincolo tradizionale finisce la tratta di centinaia di under bloccati finché genitori (ricattati) non pagano di tasca propria per liberarli da presidenti malandrini. E tutti gli altri che si comportano bene? «Inutile negarlo: per società come la nostra viene meno un tesoretto. La vera questione però è sui premi di preparazione», conferma Romei. E qui c’è un terreno di scontro evidente tra Figc e base. Con una premessa necessaria: la federazione non è responsabile dell’abolizione del vincolo e si è trovata a gestire una situazione abnorme per complessità e impatto. In uno scenario instabile, da Via Allegri rivendicano una serie di azioni: aver chiesto a più governi (senza successo) di posticipare l’entrata in vigore del vincolo, aver previsto il vincolo biennale per i giovani di serie a 14 anni e per i giovani dilettanti a 16, aver inserito il premio di formazione legato anche al primo contratto di lavoro sportivo, aver inserito il nuovo premio di tesseramento nei dilettanti fino al 20° anno d’età e l’introduzione, ad agosto, del premio di formazione tecnica. «Grazie all’intervento del presidente della LND Abete e alla sensibilità di Gravina qualcosa è stato fatto - riconosce Nicola Vilella, presidente della Romulea, centenario club capitolino dal quale sono passati tra i tanti De Silvestri, Liverani, Verre e più recentemente Missori - ma i premi sono diminuiti rispetto a prima. All’atto pratico, se un ragazzo termina l’attività giovanile nei dilettanti e poi firma per una Primavera professionistica non viene riconosciuto nulla. Le società di vertice fanno il bello e il cattivo tempo e tutto questo disincentiva la qualità nella base».

Le parole del presidente Abete

«Al momento la premialità legata al vincolo non è sufficiente» ha confermato anche il presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Giancarlo Abete, ex numero uno della Figc. «Il 4 agosto in consiglio federale è stato introdotto il premio di formazione tecnica, ma è solo il primo passo. Va riconosciuto un contributo di solidarietà e dovranno esserci altri aggiustamenti». Un filo di speranza per migliorare la condizione, insomma, c’è. «La riforma è epocale ed è entrata in vigore il 1° luglio, ma il 4 settembre c’è già stato un correttivo. C’è un disorientamento generale». Le società della LND venerdì scorso hanno incontrato il ministro per lo Sport, Abodi, che da mesi ascolta soggetti e istituzioni per cercare di migliorare una norma ereditata, «ma i problemi restano legati al che sarebbe stato più opportuno applicare questa riforma “in progress” magari partendo da Serie D ed Eccellenza per valutarne gli effetti».

Oneri eccessivi senza ritorni economici

«Noi abbiamo perso dieci giocatori senza prendere un euro tra A, B e C» racconta Paolo Fiorentini del Savio, società che affonda le sue radici nel quartiere prenestino-labicano di Roma. «Fino al 2019, il premio che un club di Serie A doveva a uno dilettantistico era di 19.906 euro e andava ripartito tra le due società che avevano avuto il ragazzo negli ultimi tre anni. Dopo il Covid siamo arrivati a 10.908 euro per le tre società degli ultimi cinque anni e dal 1 luglio siamo vicini allo zero». Massimiliano Borsani dell’Us Aldini, vera istituzione del calcio giovanile a Milano che ha lanciato Venturin, Cappellini, Sampirisi e Zanimacchia, e con la quale lavorò anche un giovanissimo Fabio Capello nei primi anni da tecnico, è pragmatico nel ritenere questa riforma «impossibile da sostenere». «Noi facciamo solo settore giovanile e abbiamo una terza categoria - ha aggiunto - ai ragazzi dobbiamo fare un contratto di lavoro, le pare possibile? Il vincolo sarà anche anacronistico, ma ci tutelava. A una società come la nostra un ragazzo può costare 1100 euro l’anno tra allenamenti, personale, strutture, staff, trasporti e tutto il resto. Su uno che resta con noi 7-8 anni arriviamo a spendere 10 mila euro. Poi arriva una big e te lo porta via gratis. Ti viene da dire, ma a che serve fare qualità? Molti faranno così: smetteranno di prendere i tecnici bravi, faranno solo numero per incassare i soldi delle quote». L’ultima tendenza delle grandi società è prendere i bambini di 8-9 anni. «Li tengono 2-3 anni - spiega ancora Romei della Settignanese - se non sfondano li mandano via e così distruggono una generazione». Le nuove norme sul lavoro sportivo, figlie della stessa riforma e contenute nel D.lgs. 36/2021, sono un’altra questione da tenere in considerazione: «Come presidente pago 85 persone, e mi vengono chiesti una serie di oneri fino a ieri impensabili per una società di base. Oggi siamo un’azienda a tutti gli effetti, ci hanno costretto a esserlo. Chi mi chiama dilettante mi offende».


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