La maxi perdita della Juve nel 2023-24, preannunciata nella semestrale di Exor, confermati un equilibrio economico perduto da tempo e mai più recuperato. Se i dati preliminari diventeranno definitivi, il patrimonio netto tornerebbe negativo e sarebbe così bruciato anche il terzo aumento di capitale degli ultimi cinque anni, completato meno di sei mesi fa. Agli 800 milioni di capitale consumati (da 900 di perdite) si aggiungerà l’ennesimo apporto patrimoniale che gli azionisti saranno chiamati a sottoscrivere. Sull’andamento negativo dell’esercizio pesa certamente l’esclusione dalle coppe ma si tratta di una settantina, forse ottantina, di milioni che non bastano a spiegare un risultato così negativo. La zavorra della Juve risiede in un’impalcatura di costi sproporzionata, eretta negli anni in cui il management e la proprietà avevano smarrito ogni senso del valore. Ingaggi folli come quello di Vlahovic, ancora a bilancio, ne sono l’esempio più rimarchevole: basti pensare che la Juve cerca di venderlo da due anni ma lo stipendio dissuade qualsiasi estimatore. Senza contare il costo di acquisizione: oltre 90 milioni tra cartellino e commissioni agli agenti, che la Juve non avrebbe dovuto sostenere perché incompatibile (già allora) con il suo conto economico.
Ricavi e costi
Dalle informazioni preliminari diffuse da Exor, si desume che i ricavi sono scesi a circa 420 milioni (-88 rispetto all’anno precedente) ma i costi si sono dimostrati renitenti alla riduzione. Sei mesi fa il nuovo management aveva elaborato un piano che prevedeva il ritorno al pareggio nel 2025-2026: obiettivo ora decisamente lontano, anche perché nel frattempo il mercato estivo ha imboccato una strada assai diversa. Un mercato dispendioso, in cui sono state operate riduzioni di stipendio a fronte però di nuovi carichi di ammortamenti: ad esempio, Douglas Luiz peserà 10 milioni per i prossimi cinque anni, Koopmeiners 12. Intanto manca ancora il main sponsor e dall’Uefa arriveranno sanzioni economiche per il mancato rispetto del settlement agreement. Il messaggio è che in Italia si può beatamente competere con livelli di costi enormemente superiore ai concorrenti, nell’assenza di regole che vietino il ricorso sfrenato al capitale degli azionisti, a copertura di perdite: nella Premier, da molti tanto invocata, questo non succede.