Giacinti: “Volevo smettere, la Roma mi ha salvata”

Dopo lo scudetto con le giallorosse, ora l’attaccante punta a un trofeo con la Nazionale Italiana
Giorgio Marota
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ROMA - Tatuaggi e cicatrici restano sulla pelle. Solo che i primi, a differenza delle seconde, ricordano momenti speciali. Quello presente all’altezza del tricipite destro di Valentina Giacinti rende indelebile la data del primo scudetto della sua Roma, il 29 aprile 2023. Sull’altro braccio c’è giusto lo spazio per un’altra celebrazione. «Facciamo così: se vinciamo l’Europeo mi faccio disegnare direttamente la coppa». Promessa di centravanti, una di quelle che non si fa bastare i gol. Lei, non a caso, si definisce «una nove che ha scoperto il piacere dell’altruismo».

Ma gli attaccanti non erano tutti individualisti?
«A me piace sacrificarmi. Da quando sono alla Roma ho capito che non scambierei mai la gioia di una vittoria con un gol. A volte mi dà più gusto pressare tutto il tempo o fare un movimento per liberare una compagna. I gol poi arrivano da soli, e ne sto facendo molti, quando li cerchi però diventano un’ossessione».

Ha superato i 300 in carriera.
«Ho vinto tre volte la classifica marcatori. Mozzanica, Milan e Brescia. Però non avevo mai vinto uno scudetto. Un bel giorno ho messo da parte l’egoismo e ho iniziato ad alzare trofei».

Mancherebbe un trionfo in azzurro per celebrare la generazione che ha cambiato il calcio femminile. Lunedì a Bochum il test con la Germania dopo l’1-1 con la Spagna campione del mondo. L’Europeo s’avvicina. Ci andate con quale obiettivo?
«Vogliamo misurarci con le tedesche per capire quanto ci manca per raggiungerle. Adesso c’è un gruppo veramente forte. Abbiamo solo bisogno di conoscerci al 110% per fare l’ultimo step mentale: andare a queste competizioni non solo per fare bella figura. Partiamo però da una considerazione: ripartire dopo le figuracce degli ultimi due Europei, che sono stati di basso livello per noi».

Con il ct Soncin cosa è cambiato?
«Sentiamo tutte grande fiducia. E ci sono tante ragazze nuove che stimolano a migliorare anche noi della vecchia guardia».

Girelli, Giacinti, Bonansea. Sta finendo il tempo della GGB?
«Restare sulla cresta dell’onda è difficile. Io però non mollo, la concorrenza mi esalta».

È cresciuta con il mito di Vieri e di Patrizia Panico. Oggi ha altri modelli?
«Morata su tutti. Lo criticano sempre, ma è esemplare per come lavora per i compagni».

Parliamo della lotta scudetto?
«La Juve si è rinforzata e resta favorita, ma il tricolore sul petto ce l’abbiamo noi. Non ce lo toglieranno facilmente».

A proposito di cose giallorosse: due derby, due gol.
«I derby mi esaltano, ne faccio una questione di appartenenza. Se a Milano per me c’era solo il Milan, a Roma c’è solo la Roma».

È entrata nella hall of fame del calcio. Un privilegio, fin qui, solo per dieci calciatrici.
«È stato uno shock pazzesco, mi sento una ragazza fortunata».

«Ho pensato di lasciare il calcio», disse qualche tempo fa.
«Nell’ultimo periodo al Milan stavo male. Uscivo dal campo e mi dicevo “oggi non ho imparato niente”. Non trovavo nessun senso. Così ho chiesto la cessione e sono andata alla Fiorentina dove ho fatto altri sei mesi brutti. Mi sono affidata a un mental coach per uscirne: vedevo tutto nero. Finché la Roma mi ha salvato. Sono rinata grazie alla felicità di chi mi circondava».

Cosa direbbe alla Valentina Giacinti bambina?
«Di rompere meno bambole. Staccavo le teste e le prendevo a calci».

E i suoi genitori?
«Mi hanno compresa. Ricordo ancora quanti danni ho fatto nel mio paesino, a Trescore Balneario. Tutto poteva diventare una porta: la vetrina di un negozio, i pali della luce, le finestre delle signore. Adesso mi vogliono bene, ma ho fatto arrabbiare tanta gente».

Professionismo significa diritti e dignità. Siete però anche più esposte.
«Iniziamo a fare i conti con le critiche feroci. Sui social la gente si sfoga: è un problema enorme, al quale non si può solo rispondere “sono dei fake”. Sono convinta che ci vorrebbe un documento d’identità per iscriversi. Per alcuni non è niente, ma c’è chi interrompe la sua carriera perché non riesce ad andare avanti e chi arriva a compiere gesti estremi come il suicidio. Io non mi vergogno di dire che sto lavorando con una psicologa per stare meglio».


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