Il rischio di un Europeo organizzato all’italiana
C ’era una volta il sogno dell’Europeo che avrebbe cambiato i connotati della nazione. «Dobbiamo fare le cose in tempi rapidi», disse il presidente della Federcalcio il 15 luglio 2021, annunciando che l’Italia avrebbe corso per ospitare una manifestazione internazionale. Gravina parlò di Euro 2028 o del Mondiale 2030, «ma prima va avviato un percorso di investimento nelle infrastrutture». Da allora sono trascorsi 1.535 giorni e da due anni, con l’assegnazione dell’Uefa, l’Italia sa di dover ospitare un Europeo, anche se nessun cantiere è ancora partito. Non il massimo in un Pese nel quale un progetto può durare anche 15 anni e l’età media degli stadi supera i 65.
Il cambio
Ovviamente la federazione non è un’impresa edile e la costruzione di uno stadio passa da un’armonia tra amministrazione locale, investitore privato e leggi dello Stato. Così, rendendosi conto di quanto i tempi fossero stretti, Gravina ha prima virato sull’Europeo del 2032, poi ha capito che sarebbe stato meglio correre insieme alla Turchia piuttosto che sfidarla. Per due ragioni: una politica, dato che una sconfitta anche su questo campo avrebbe preso a picconate l’immagine già sbiadita del nostro calcio, e l’altra tecnica, considerato che presentare 5 stadi è più facile di portarne 10. I turchi, quelli che nel 2021 volevano togliere all’Italia una delle sedi dell’Europeo itinerante post Covid quando Roma non rassicurava Nyon circa la presenza del pubblico, una decina di stadi nuovi di zecca li hanno già tirati su. In un testa a testa avrebbero forse stravinto. Così l’Italia andrà a braccetto con un Paese in cui i diritti umani sono spesso un optional, stringendo accordi sempre più stretti con Erdogan, non proprio il più democratico dei leader mondiali.
A metà
Tornando ai nostri stadi, solamente l’Allianz oggi sarebbe pronto per Euro 2032. La Figc dovrà presentare all’Uefa il suo elenco entro il 31 luglio 2026, tutti con un progetto approvato, finanziato e cantierabile entro marzo 2027. Passare da un Europeo in solitaria e in 10 sedi a uno in coabitazione e ridotto a 5 sembra già una rivoluzione dimezzata. Alla quale si aggiunge un’ulteriore possibile scappatoia all’italiana: con Torino pronta e l’Olimpico di Roma che necessita solo di qualche lavoro, due stadi sono fatti. Il terzo potrebbe sorgere a Milano, se San Siro dovesse essere abbattuto e riscostruito. Il quarto sarebbe il Franchi di Firenze, già in ristrutturazione con i fondi del Pnrr. Così resterebbe un solo impianto da aggiungere. Potrebbe essere il nuovo di Palermo, sempre che il City Group non cambi idea, o magari Bari (anche questo c’è già). Napoli spera di inserirsi un po’ come Genova, in tal caso però tutto il Mezzogiorno verrebbe tagliato fuori. Nei giorni scorsi si è addirittura parlato della possibilità che Roma, come Istanbul, possa avere più di una sede: l’Olimpico e Pietralata, dove manca ancora un progetto definitivo. In questo modo avremmo un torneo in 4 città. L’Europeo era un treno, dicevano. L’ultimo sul quale salire per ammodernare tutti gli impianti fatiscenti. Non a caso il governo, nella persona del ministro Abodi, è sceso in campo con una struttura commissariale ad hoc che sarà guidata dall’ingegnere Massimo Sessa (disporrà di un fondo da 5 milioni almeno da qui al 2032), dotato di pieni poteri per accelerare gli iter e per collaborare con i sindaci delle città. Il paradosso è che l’Italia ha una legge sugli stadi che dovrebbe togliere burocrazia anziché aggiungerla, ma tra vincoli e lungaggini viene puntualmente disapplicata. Per i club che si affannano ad avere nuove strutture a prescindere dall’Europeo, c’è in gioco la sostenibilità economica. Il Real Madrid incassa 250 milioni di euro di ricavi dal nuovo Bernabeu, il triplo di Inter e Milan, le italiane più virtuose in questa classifica, ferme rispettivamente a 87 e 81. Le nostre vivono di biglietti e abbonamenti, i top club europei generano attorno alla loro casa un business che va dall’intrattenimento alla ristorazione, passando per il turismo, il merchandising e gli eventi collaterali,
