© LAPRESSE Suzuki esclusivo: "Io tra i primi al mondo"
Con Zion la mia prima intervista col forcipe. In fondo mi mancava. Ricordo che col suo connazionale Nakata andò meglio, fu più semplice. Ecco dunque la “one to one impossible” con un calciatore che della cultura giapponese esprime in primo luogo una fottuta riservatezza: stile abbottonatura Fratelli Bonfanti. «La mia famiglia? Un padre e una madre». I nomi? «Non li faccio». Non si sentono mai, i Suzuki, a meno che non abbiano cose davvero importanti da dirsi. Quando gli chiedo del fratello di due anni più grande che un tempo giocava, mi risponde che non sa che lavoro faccia adesso. In realtà lo sa, ma non lo dice. Sopravviverò.
Attenzione però: Zion è proprio simpatico, sorridente, un tantino imbarazzato. Ha lo sguardo furbo: capita che durante la chiacchierata con le mani enormi si copra il viso.
Secondo Jorge Valdano ci sono molti modi di fare il portiere, ma nessuno è facile. Ci sono portieri che bloccano e quelli che giocano, esistono portiere showman e sobri, kamikaze e prudenti. Hanno bisogno dell’esperienza quanto dell’agilità dei riflessi.
E poi c’è Zion Suzuki: si pronuncia Zaion perché non è di Bassano. Padre afroamericano, originario del Ghana, e madre giapponese, il suo solido riferimento affettivo. Ventitré anni, nato a Newark, nel New Jersey, pochi giorni dopo l’ingresso nel mondo si trasferì con madre e fratello a Saitama, in patria. Dall’ultimo passaggio di mamma a Parma ha ricavato cibo per tre mesi. «A cena mangio giapponese, colazione e pranzo sempre a Collecchio con i compagni».
Zion è tutto ordine, sistematicità, meticolosità, riti, routine. Educazione, giapponese nell’anima e nei modi. Ed è anche uno che nello spogliatoio si fa sentire, perfino quando deve ricordare ai compagni che bisogna lasciarlo pulito.
A Parma vive da solo in centro, non ha una fidanzata perché non vuole distrazioni fino al Mondiale. Lui è già qualificato. Lui.
Dalla ripetitività di tempi e gesti ricava più sicurezza. Quando Pavarini, il suo preparatore, vuole modificare qualcosa va in crisi, o quasi: deve prima trovare le parole giuste per spiegare i possibili vantaggi del cambiamento. «Per undici anni mi sono allenato sempre allo stesso modo, non vedo perché dovrei adattarmi ad altro». Nella preparazione di Zion è prevista anche la seduta di pilates in videocall con l’istruttore giapponese. «Il giorno dopo la partita, sempre».
L’istruttore chi è?
«Non te lo dico».
Stupido io che te l’ho chiesto.
«Perché dovrei parlare della mia famiglia o delle persone che frequento, non sono il calcio, cosa aggiungerebbero al calcio?».
Non hai tutti i torti.
Sorride. «Mi alleno, oggi ad esempio ho fatto degli esercizi con occhiali speciali e luci alternate per migliorare i riflessi. Mi alleno, dicevo, e poi studio l’inglese e l’italiano».
Legge libri di grammatica italiana, lingua che capisce e parlotta. Si dice che per le sue origini, in Giappone venga considerato un hāfu, termine usato per indicare una persona etnicamente metà giapponese e metà non. Quando gli domando se sia vero indovinate cosa risponde. «Non è così, questa non l’avevo mai sentita».
Ho chiesto al Parma di poterlo intervistare non solo perché è seguito da settimane con particolare interesse da Chelsea e Milan: la ragione principale è proprio quel punto di originalità che incarna e mi avevano segnalato. Mai avrei immaginato, però, di trovarmi alle prese con un parto.
Torna sul metodo Suzuki. «Il pilates serve a migliorare la postura e la flessibilità, potenzia il “core”».
Riduce anche la tensione, ma Zion non sembra per niente stressato. «Sono un tipo calmo, il portiere lo deve essere sempre».
Che portiere sei o credi di essere?
«Copro bene la porta e so giocare con i piedi».
Praticamente perfetto. Moderno.
«Lavoro ogni giorno per migliorare sotto tutti i punti di vista».
Sono un tradizionalista: mi piacciono i portieri come Donnarumma, più bravi con le mani.
«Donnarumma sa fare bene tutto».
Due big europee ti seguono.
«Voglio diventare uno dei migliori portieri del mondo e sono molto concentrato su Parma e Mondiale».
È vero che non sei fidanzato?
«Ci penserò dopo il Mondiale. Abito da solo. La scorsa stagione ho anche cucinato tanto».
Sei un solitario poco portato a emozionarsi, eppure a Genova, dopo aver parato il rigore, sei sembrato “umano”. Per la prima volta, aggiungo.
Ride di nuovo. «È durato un attimo, sono tornato subito a pensare alla partita».
Il tuo ex compagno Bonny sta facendo molto bene all’Inter.
«Un grande salto, il suo. Giocando un anno con lui ho capito quanto sia forte. Ci incontreremo di nuovo soltanto a gennaio».
Sei la migliore espressione di un calcio che non ha mai dato grandi portieri. Kawashima, Nishikawa, Maekawa. Parliamo di niente.
«Le cose stanno cambiando. Io sono arrivato piccolissimo nell’Urawa Red Diamonds e ci sono rimasto undici anni. Lì ho imparato la tecnica, ho completato tutti i passaggi e esordito in prima squadra e in nazionale. Tutto quello che ho fatto ha funzionato, per questo non mi piace cambiare. Studio l’avversario e sono molto attento alle novità tecnologiche. Sono felice di questo mio momento».
E io sono felice che sia finita. Quando glielo dico, Zion si fa una risata. Aperta.
