IBRA E CAPELLO - "Lo United era la squadra giusta per me: il club e la maglia che dovevo far brillare e io l'ho fatto. Lì mi sono sentito come 'Benjamin Button', stavo diventando ogni giorno più giovane. Poi, purtroppo, mi sono infortunato. Quando è successo non ho capito a cosa sarei andato incontro perché non avevo mai avuto un infortunio serio. Ero come Superman, indistruttibile. Nessuno poteva 'rompermi'. Allora mi sono detto 'questo non è modo di smettere di giocare a calcio, voglio tornare e giocare come facevo prima'", ha puntualizzato lo svedese. "All'inizio della carriera non era così importante fare gol ma avere qualità e tecnica. A un certo punto è diventato diverso. Alla Juve mi hanno fatto capire 'qui siamo ad alti livelli, sei un attaccante, quindi devi darci gol. Se non li fai, non abbiamo bisogno di te'. Tutto era nuovo per me: grande squadra, grandi giocatori, grande allenatore, grande storia", ha spiegato ancora Ibrahimovic. "Dal primo giorno di allenamento alla Juve ho sentito Capello gridare 'Ibra'. Prendeva i ragazzi delle giovanili e li faceva allenare con me: loro crossavano, io dovevo fare gol. Ogni giorno per 30 minuti. Io volevo solo andare a casa perché ero stanco e non volevo più tirare né vedere la porta e i portieri. Sentivo sempre quell'urlo 'Ibra' e sapevo cosa significasse. Tiravo, tiravo", ha concluso lo svedese. (in collaborazione con Italpress)