Mannavola: Mi riprendo la vita, smetto di giocare

Francesca, 35 anni, 9 anni di calcio a 11 e gli ultimi 13 di futsal, si ferma qui. "Sto bene e potrei continuare ancora, ma ci sono delle priorità. E io scelgo di concedermi più tempo"
Mannavola: Mi riprendo la vita, smetto di giocare
Valeria Ancione
8 min

Gli occhi grandi, la pelle scura e la voce sottile come quella di una fatina dei cartoni animati: fata Mannavola suona anche bene. Che se la incontri è buon auspicio, e se ti ci scontri ti fa un tunnel. Dal calcio a 11, l’inizio e la maturità, al calcio a 5, la necessità, la scoperta e l’amore, Francesca Mannavola, Manni per tanti amici, a trentacinque anni smette, tra le richieste che le arrivano e l’incredulità. Le donne dello sport, si sa, sono longeve, di fisico e di testa, è naturale chiedersi perché e stupirsi della decisione. «Anche l’anno scorso volevo fermarmi, ho vissuto lo stesso travaglio e poi ho giocato ancora. Però è diverso, avevo bisogno di mettermi alla prova, dopo una brutta stagione da dimenticare, e dovevo dimostrare soprattutto a me stessa di essere ancora capace di fare la differenza. Volevo uscire di scena con un bel ricordo».

VITA E PALLONE Francesca è un vulcano di idee e movimento. Prima studio e pallone. Poi lavoro e pallone. Fino a ieri in campo in Elite con il Pescara mentre lavorava come area manager centro-sud della Sixtus Italia, azienda leader nel settore medico sportivo. Già... lo sport è il motivo della sua vita, la certezza, la famiglia. Mannavola si muove sulle corde di questa musica e non è un caso che tutto arrivi da lontano nel tempo e da dentro casa. Tutto nasce dal padre Giosuè, di cui è copia, «e non solo di faccia» precisa con quell’orgoglio bambino dell’essere e appartenere per sempre, specie da quando lui non c’è più. «Anche con mamma ho un bellissimo rapporto, ma con lui era diverso, eravamo in simbiosi totale

Non è un caso, dunque, perché Giosuè è stato un calciatore. «Giocava nella Pro Italia di Taranto. Lo devo a lui se la predisposizione al calcio è innata. Papà è stato il mio primo e più grande tifoso. Era anche la prima telefonata dopo ogni partita, quando non era sugli spalti a vedermi. Non era uno da grandi complimenti, ma era fierissimo di me. Ed è pure grazie a lui se in casa siamo tutti tifosi del Taranto. Tifosi tifosi, da sciarpa e trasferta...».

L’INZIO E LA FINE. Se il suo inizio è dei più scontati, la fine sa di consapevolezza di essere a un punto che più che chiudere, modifica, evolve e cambia scena, senza troppo modificare linguaggio. «Sì il mio è l’inizio più banale di tutti: giocavo sotto casa con i miei amici. D’altra parte se stai in mezzo ai maschi ti adegui per far parte del gruppo e così a cinque anni dal cortile del condominio sono passata alla scuola calcio con i maschi e a 14 anni esordivo in serie A col Gravina».

11 E POI 5. Centrocampista centrale, nove anni di calcio a 11, tra A e A2, tra cui Milan, Picenum e Nazionali giovanili. Autonoma e determinata, con una visione della vita chiara, propria di un centrocampista che domina il gioco in ogni sua parte e ne determina l’azione, a 18 anni è andata a vivere da sola a Pescara, per studio, laurendosi con 110 e lode in Scienze giuridiche economiche e manageriali dello sport. Lo sport ancora, la coperta, la certezza, l’obiettivo. «Il sogno era lavorare con una squadra di calcio professionistico. Non come allenatrice, a me non interessa, preferisco l’aspetto manageriale del calcio. Durante gli studi ho collaborato anche con il Pescara calcio. Ora c’è la Sixtus, un lavoro che amo e che mi tiene dentro al mondo dello sport, tra i miei clienti infatti ci sono anche tante squadre di calcio».

LA PRIMA SCELTA. Come spesso accade a un’atleta dilettante - dilettante per modo di dire - a un certo punto o per lavoro o per maternità deve fare una scelta. In quel punto e a capo della sua vita però, Mannavola non ha scelto di abbandonare ma di cambiare: lascia il calcio a 11 per il calcio a 5 che le permetteva di conciliare meglio lavoro e sport. «Il passaggio è stato antipatico. Il pallone mi sembrava un oggetto estraneo. Anche la dimensione del campo e il ritmo erano da studiare. Però sono una che si adatta facilmente e così è stato. Ho imparato presto e ho vinto due scudetti e due supercoppe».

L’IDEA DI FUTSAL. C’è chi la vede buona sia di qua che di là, ma il calcio a 5 la diverte di più e poi ormai se lo è cucito addosso. Ha vissuto gli anni dell’anonimato di uno sport che cerca di affermarsi anno dopo anno. «Ognuno ha il suo percorso. Il calcio a 11 è più “anziano” e ultimamente ha conosciuto un grande sviluppo anche grazie alla Uefa in Europa e all’impegno della Figc in Italia. Credo che l’ingresso delle società professionistiche nel calcio femminile stia avvenendo nel momento giusto. Il futsal invece ha ampi margini di crescita ma ritengo che si debba lavorare con i settori giovanili per far crescere e valorizzare le italiane. Certo le straniere sono importanti se fanno realmente la differenza e se possono aiutare le nostre piccole però ci vorrebbe maggior equilibrio. Il mio sport è in crescita, vero, ma io credo che debba anche maturare, perché la gestione di molte squadre resta ancora dilettantistica. Ho vissuto gioie e delusioni in questi anni. Il ricordo più bello sono i due scudetti con l’attuale Montesilvano. La delusione più grande è stata la mancata convocazione in Nazionale nella “notte magica” al Foro Italico. Dopo tanti anni da pioniera avrei meritato almeno una “passerella”, e come me altre giocatrici che hanno scritto la storia di questo sport negli ultimi dieci anni, ma ahimè così non è stato. Ma, a conti fatti, il calcio a cinque mi ha dato tanto. Le amicizie sopra ogni cosa». La vita questo è, c’è chi cucina e apparecchia e chi si siede a mangiare. L’importante è non farsi vincere da un rammarico per una cosa di cui non si ha colpa. Infatti, l’amarezza appena sentita nella voce da fatina, lascia subito il posto alla consueta leggerezza, perché Mannavola ha un sorriso genetico, naturale, un sorriso risolutorio e spazzacamino, che le ruba tutto il viso con naturalezza. Francesca produce buon umore e tante idee e propositi e l’impressione che se ne ricava è che la sua ricerca di altro non sia mai un ripiego ma una strategia e una soluzione. 

LA SECONDA SCELTA. Fa punto "Manni" ma è un punto che libera un’altra frase della sua vita. Come un racconto da scrivere senza troppo indugiare. Ed eccola di fronte alla seconda scelta: fermarsi, in un adesso che sa di per sempre. «A trentacinque anni cambiano le priorità. Ho bisogno di essere padrona del mio tempo. La malattia di mio padre e la sua perdita mi hanno segnato profondamente e mi hanno fatto riflettere su questo. Ho perso tanti anni per gli impegni sportivi facendo molte rinunce. Ora ho voglia di godermi le persone che amo. Sto bene e potrei giocare ancora tanti anni, e infatti continuerò ad allenarmi perché lo sport per me è un modo di vivere, ma sento che sono scemate le motivazioni. Negli ultimi tredici anni ho abbinato il lavoro a un’attività sportiva di alto livello e ho sacrificato tanto la mia vita privata. Ora è tempo per il mio tempo».

Nessuna paura di lasciare. Nessuna paura del vuoto. «Assolutamente no. Ho compiuto un percorso parallelo allo sport e ho una vita piena. La paura si prova se non si è fatto niente, se non si è costruito niente. Io ho tanta voglia di stare con la mia mamma, i miei fratelli, Andrea e Claudia, i miei nipoti, Martina, Riccardo e Tommaso, che vedo sempre poco, loro vivono in Puglia e io a Roma».

E così fata Mannavola lascia i campi, quelli di ogni week end in giro per l’Italia, ha bisogno di altro o semplicemente è diventata grande e il pallone può tornare a essere quell’amore di bambina da giocare nel cortile sotto casa. «Sì, sono diventata grande».


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