Calciomercato, sul traguardo non basta il cognome

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Calciomercato, sul traguardo non basta il cognome
Alessandro Barbano
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Una volta ho chiesto a un collega con un cognome pesante del giornalismo nazionale che vuol dire essere un figlio d’arte. La sua risposta è stata: è come avere il primo servizio assicurato in una lunga partita di tennis. Come dire che, per vincerla, occorre ben altro che il casato del padre. Vale per tutte le professioni e i mestieri nel cui impasto c’è un contenuto, per così dire, artistico, che sia l’arte della penna, o piuttosto dei piedi. Il marchio di famiglia ti garantisce poco più che il provino, il resto devi farlo da te. Per questo il futuro di Thuram e Weah è tutt’altro che scritto. Certo, arrivano nella scuderia di Inzaghi e Allegri nel momento più propizio.

L’Inter ha smontato per tre quarti l’attacco che l’ha portata, dopo una stagione travagliata, a un passo dal tetto d’Europa. La partenza di Dzeko e Correa da una parte, la problematica proroga del prestito di Lukaku dall’altra, aprono al francese un’autostrada. Se solo riuscisse a bissare l’ultima stagione appena chiusa col Borussia M’gladbach, sarebbe una consacrazione. Ma per rifare sedici gol bisogna avere una maglia da titolare, per questo il ragazzo, che ingenuo non è, ha preferito l’Inter al Paris Saint Germain. Allo stesso modo il pensionamento di Cuadrado è, per l’esterno liberiano con cittadinanza statunitense, un’occasione da non perdere. Lui e Kostic da parti opposte, e in mezzo Rabiot, possono fare quella Juve di gamba che risolverebbe con il dinamismo le incertezze del centrocampo di Allegri.

I portafogli stitici del fair play finanziario, in aggiunta al nome pesante dei genitori, fa dei due talenti le prime star del mercato estivo. Tuttavia il paragone generazionale è un azzardo. Perché a venticinque e a ventitré anni Marcus e Timothy sono solo due talenti non ancora del tutto sbocciati, cui la storia dei padri pesa come una zavorra. Lilian Thuram e George Weah non solo sono stati due fuoriclasse in campo, ma rappresentano tutt’ora un modello di leadership per il movimento sportivo e le comunità di appartenenza. Il primo con le sue battaglie contro ogni forma di discriminazione, il secondo con la sua discesa in politica, che lo ha portato al vertice istituzionale del suo Paese.

Certo, a guardarli dall’esterno, i due figli d’arte possono apparire dei privilegiati. Perché quel primo servizio, nella lunga partita di tennis che è la vita, a molti dei loro colleghi è negato. Chissà quanti altri incerti talenti, dal cognome diverso, farebbero i salti mortali per stare al loro posto. Chissà quanti ragazzi dalla felice intonazione, vedendo il figlio di Bocelli cantare sul palco del padre, hanno pensato che… ad avercela una simile occasione! Però l’abbrivio non fa una maratona, e neanche lo scatto dei cento metri. Poiché il traguardo si taglia tutti allo stesso modo, stando - come direbbe un grande poeta - da “soli sul cuor della terra, trafitti da un raggio di sole”. Quel raggio per un calciatore è la carriera, una vita più breve dentro la vita. Ti passa di fianco rapida e, quando la vedi, è già fuggita. A Marcus e a Timothy tocca rincorrerla a perdifiato, prima che sia “subito sera”.


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