De Laurentiis, Osimhen e le sirene della Premier League

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De Laurentiis, Osimhen e le sirene della Premier League
Alessandro Barbano
4 min

Tutti, nessuno escluso, vogliono giocare in Premier. Dopo che il Milan vinse lo scudetto, Paolo Scaroni in un convegno rivelò di essersi recato a Milanello per raccomadare a Maldini di blindare Leao, e di essersi sentito rispondere che non dipendeva dal club, ma piuttosto dalla volontà del portoghese e dalle sirene inglesi che avevano già iniziato a suonare il loro ammaliante canto. Se ti arriva un Chelsea, o piuttosto un Liverpool o uno United, e ti mette sul tavolo un’offerta da centoventi milioni di euro, come fai a dire di no? Tanto più che al giocatore ne avranno offerti almeno dieci, tanti quanti tu non potrai mai disporne. Il Milan riuscì a tenere Leao, approfittando di un contenzioso ingaggiato dal calciatore con lo Sporting Lisbona, da cui era fuggito qualche anno prima per accasarsi al Lilla. Il club portoghese aveva ottenuto dal Tribunale arbitrale dello sport la condanna in solido dell’attaccante e del club francese a un risarcimento di 17 milioni di euro, divenuti poi 19 con gli interessi. Se Leao fosse andato all’estero, lo Sporting gli avrebbe pignorato l’intero stipendio. Restando in Italia, dove grazie alla legge 91 il calciatore è un lavoratore subordinato, Leao si è visto pignorare solo un quinto del suo ingaggio di un milione e 800 mila euro a stagione. Poi il Milan ha convinto il Lilla a pagare l’intera sanzione, riconoscendo in cambio un introito del 15 per cento sulla futura vendita del portoghese, e ha offerto a Leao un nuovo contratto fino al 2028, con un ingaggio di cinque milioni più bonus.

Napoli, perché Osimhen non è Leao

Osimhen non è Leao. Perché non ha contenziosi, è perché può vantare, dopo una stagione travolgente, un’appetibilità maggiore. I brucianti numeri del portoghese non valgono la potenza e la continuità del nigeriano, il cui nome oggi è certamente nel mirino dei più solidi portafogli europei del pallone. De Laurentiis non vuole cederlo, ma un’off erta da centoventi milioni, più dieci al giocatore, lo metterebbe di fronte a una scelta obbligata. Eppure Osimhen è, insieme a Kvara, l’architrave di un ciclo che, come ogni architettura umana, ha bisogno di supporti solidi per ergersi verso il cielo. Puntare a un’egemonia europea vuol dire consolidare il gruppo che ha consentito di raggiungere lo scudetto, non smontarlo ogni anno. Poiché non sono le scommesse, ma gli investimenti, il mezzo più rapido per fare risultato nel calcio che conta. Tenere Osimhen e Kvara, confermare Spalletti e puntellare qualche debolezza che pure un campionato straordinario ha messo in mostra agli occhi esperti di chi sa e vuole leggere: è questo il programma di un’agenda ideale che ciascun tifoso azzurro vorrebbe veder realizzato. Ma è chiaro che il Napoli e i suoi gioielli sono in questo momento l’oggetto del desiderio di molti. Per evitare che il desiderio sia soddisfatto occorre blindare rapidamente, e con piena soddisfazione delle parti, le posizioni individuali più importanti del Napoli. De Laurentiis ha dimostrato di avere l’intuito e la pazienza necessarie per riagguantare uno scudetto che negli ultimi trent’anni è stato appannaggio esclusivo di tre squadre del Nord, Juve, Inter e Milan, con la sola eccezione del biennio 2000-2001, quando a vincere furono in sequenza Lazio e Roma. Dobbiamo sperare che in questo momento la sua capacità di scommettere sia seconda alla sua capacità di costruire. Protegga Osimhen con un’altra delle sue mascherine, lasciandogli liberi gli occhi, ma coprendogli le orecchie, come fece Ulisse, al canto delle sirene del Nord.


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