Le due facce del Sarrismo

Leggi il commento del condirettore del Corriere dello Sport - Stadio
Le due facce del Sarrismo© ANSA
Alessandro Barbano
3 min

La Juve ritrova la sua utilitaristica bruttezza e conquista la semifinale, la Lazio conferma il suo sdoppiamento di identità, che fa del “Sarresco” la pessima copia del “Sarrismo”, e naufraga. Tra due squadre ugualmente incompiute vince la più concreta, la più coriacea, la più ordinata. Tanto da risultare impermeabile nella sua retroguardia per la leziosa e inconcludente manovra biancoceleste, mai penetrante e verticale, sempre una frazione più lenta di quanto dovrebbe e potrebbe. Sarri osserva dalla panchina la differenza abissale che esiste tra il palleggio prevedibile e il palleggio veloce, tra il coraggio dell’uno contro uno e il ripiegamento laterale al compagno arretrato, tra l’azzardo di una triangolazione ficcante e il cross annunciato. Questa irresolutezza è la contraddizione di una squadra bifronte, capace con gli stessi uomini di affondi spiazzanti e di ritirate umilianti, come quella patita ieri a Torino. Tra la Lazio che spiana il Milan e la Lazio che s’inchina alla Juve ci sono appena dieci giorni. Difficile spiegare un voltafaccia così radicale con gli stessi uomini e nella medesima condizione atletica. C’è una cifra di fragilità caratteriale che è, per la squadra di Sarri, l’ultimo miglio mai raggiunto della maturità. Di fronte alla ritrovata personalità della Juve, la creatività biancoceleste si scioglie in un baleno come neve al sole, mostrando un limite irrisolto nella costruzione di un ciclo sportivo. Non è un alibi la presenza ancora ectoplasmatica di un Immobile appena uscito dall’ennesimo infortunio e in evidente ritardo di condizione. Perché anche nel secondo tempo, con Felipe Anderson centrale, Pedro sulla fascia destra e Milinkovic al posto di un irrilevante Vecino, la Lazio non cambia verso.

Juve brutta, coriacea e diligente

La Juve torna la brutta, coriacea, diligente Juve che Allegri può attendersi da un gruppo esperto ma incompleto, dotato di talenti come Vlahovic ancora tutti da formare, di convalescenti in grande ripresa ma non ancora al top come Chiesa, di un centrocampo diligente ma non intuitivo e autorevole, di un esterno decadente, come Cuadrado, e uno efficiente, come Kostic. A cui si deve il gol della vittoria. È la velocità con cui anticipa, spalle alla porta, il cross nel cuore dell’area di rigore a mandare fuori tempo il portiere biancoceleste Maximiano. Il serbo è la risorsa più smaltata di questa Juve robusta ma sostanzialmente opaca, anch’essa prudente e a tratti rinunciataria, ma più solida e padrona del campo, il suo peraltro, rispetto agli avversari. Il termometro della qualità di questo quarto di finale non arriva alla sufficienza, confermando la diagnosi di una stagione in cui tutte le squadre di vertice, tranne una, denunciano manchevolezze e limiti insormontabili. Però Allegri ritrova, dopo gli schiaffi del Monza, l’equilibrio che nell’ultimo mese sembrava smarrito. Dopo la pesante penalizzazione in campionato, la sua residua stagione si gioca sul fronte aperto delle due Coppe. Dove la solidità rivista ieri sera vale oro.


© RIPRODUZIONE RISERVATA