Azzurri, abbracciamoci forte

In un’Italia combattuta tra sorprendente euforia e naturali scetticismi, stasera Mancini chiede alla Svizzera (e all’Olimpico) l’accesso anticipato agli ottavi
Azzurri, abbracciamoci forte© LaPresse
Ivan Zazzaroni
5 min

Ma sì, porca puttèna, abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene. Di nuovo. Anche se siamo soltanto alla seconda uscita europea - oltre che nella stagione del politicamente corretto che metterebbe al bando il linguaggio, la comicità e i virtuosismi oronzocaniani - nessuno può vietarci di continuare ad accompagnare questa Nazionale con accenti tra l’affettuoso, il toccante e l’entusiastico. Perché circoscrivere il campo del possibile, poi? «Giochiamo con gioia» è stata la raccomandazione di Mancini, che ha aggiunto parole mai pronunciate prima d’ora da un commissario tecnico: «Siamo all’Europeo, serve gioia, allegria, dobbiamo essere felici di fare quel che facevamo da bambini. Più felici di così non possiamo essere, dobbiamo far felici i tifosi».

I ventotto risultati utili consecutivi, il 3-0 dell’esordio con i turchi e prim’ancora il 4-0 nell’amichevole con i cechi, prove nelle quali l’Italia ha rubato le idee e il campo alle avversarie, ma anche i 92 gol in 118 partite di Immobile all’Olimpico (14 dei quali con la maglia della Nazionale), la crescita di Berardi e Insigne, la sfavillante condizione di forma del neocampione d’Europa Jorginho e di Spinazzola, sono motivi validissimi per guardar con fiducia alla sfida di stasera con la Svizzera (augurando peraltro a Sommer di diventare in giornata papà).

Siamo spudoratamente Canà addicted. Ci sono stati momenti, in particolare nel secondo tempo della gara con la Turchia, nei quali ho creduto che gli azzurri stessero attuando la leggendaria B-zona, il 5-5-5 a farfalla dell’allenatore nel pallone che - grazie a una promessa di Immobile - è diventato ispiratore e ct occulto di questa avventura. Per i più giovani, ovvero per tutti i nati nei primi anni Ottanta, o per chi non ha avuto la possibilità (o la voglia) di vedere una delle centinaia di repliche del film di Sergio Martino, ricordo che Canà spiegò così la variante prototattica di sua invenzione: «Mentre i 5 della difesa vanno in avanti, i cinque attaccanti retrocedono, e viceversa. Allora la gente pensa: “Ma quelli c’hanno cinque giocatori in più!”. Invece no, perché mentre i cinque vanno avanti, gli altri cinque vanno indietro, e durante questa confusione generale le squadre avversarie si diranno: “Ah ah, che sta succedendo”: E non ci capiscono niente!».

In effetti ci ha capito pochissimo Gunes, che ha visto azzerate le stelle Yilmaz, Yazici, Calhanoglu e Karaman. A questo punto speriamo che anche Petkovic vada in confusione consentendo ai nostri di ottenere il passaggio del turno con un anticipo esaltante.

Mentre è in corso il solito, paradossale dibattito tra giochisti e risultatisti che tentano di attribuirsi il gioco di Mancini, ben sapendo che non li riguarda, trattandosi di calcio da manuale affidato non a schiavi della pedata ma - secondo natura - a giovani vogliosi di giocare e di vincere, tornano alla mente altre soluzioni da porgere agli svizzeri, ingrati traditori del catenaccio, anzi del verrou. Ad esempio, la formula cara a Fabio Capello, che non ne fa mistero, limitandosi ad accompagnarla con un sorriso: si tratta del 9-1, un movimento armonico e logico, un andirivieni di difensori e attaccanti tutti al servizio del Tiratore Solitario che può chiamarsi - di tempo in tempo - Bettega, Riva, Graziani, Paolorossi, Schillaci, Robibaggio, Bobovieri, Totti, Del Piero, Toni e la voglia esausta di Balo e Cassano, il più naturale interlocutore di Oronzo Canà, porca puttèna!

PS. Sempre a proposito dei meno prevedibili effetti dell’euforia, ripensavo alla settimana grigia del presidente dell’Uefa Aleks Ceferin: dopo aver dovuto sospendere il procedimento disciplinare nei confronti degli irriducibili superleghisti e aver promesso ai suoi che non avrebbe più aff rontato pubblicamente il tema, arrivato a Roma non ha perso l’occasione di attaccare nuovamente Juve, Real e Barcellona («a volte ho la sensazione che questi tre club siano come dei bambini che saltano la scuola per un po’, non vengono invitati alle feste di compleanno e poi cercano di entrare al party con la polizia»: questa l’ha capita solo lui). In seguito la sua Uefa è stata criticata duramente dagli Schmeichel per il comportamento avuto il giorno del dramma Eriksen e, infi ne, ha inviato una lettera alla Juve (e alle altre due società) comunicando loro l’ammissione alla prossima Champions. L’irritazione era più che comprensibile eppure – così come i superleghisti – Ceferin ha sbagliato totalmente i tempi e la comunicazione, in particolare i toni: quando si è istituzione, la forma diventa sostanza.

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