Italia, vogliamo tutto

Italia, vogliamo tutto© Getty Images
Alessandro Barbano
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Quale allegria? Nessuna allegria. È iniziato un altro gioco, l’unico che c’interessa. Vogliamo tutto. Vogliamo la Coppa di Euro 2020. La vogliamo per una rivincita sportiva. E la vogliamo per un risarcimento civile, perché porta nel nome l’anno horribilis della pandemia. Sulle spalle della Nazionale stasera c’è un macigno di aspettative. Lo sa Mancini, che alle 18 compare in conferenza stampa abbottonato come un pastore protestante, con la bocca serrata dalla tensione che somiglia a quella di Andreotti. E che gli suggerisce di parlare il meno possibile per dire ancora di meno, cioè nulla. Nulla che possa svelare agli avversari il nostro atteggiamento tattico, nulla che possa scatenare tra gli azzurri paranoie depressive, nulla che possa prestarsi a polemiche sui media prima del fischio d’inizio dell’arbitro olandese Kuipers.  
E poiché un allenatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia, esattamente come un buon giocatore, il cittì trattiene il fiato con i giornalisti e simula leggerezza poco dopo in allenamento, ribaltando con ironia il suo stato d’animo sugli azzurri che lo circondano: «Vi state facendo sotto, eh?». Tutti ci stiamo facendo sotto, anche se nessuno lo dice. Perché tutti abbiamo visto correre gli inglesi più di noi contro la Danimarca. Tutti abbiamo visto le serpentine di Sterling, la rapacità di Kane, l’elettricità di Saka, la razionalità di Phillips, gli ermetici automatismi di Stones e Maguire. Tutti immaginiamo una partita sofferta come quella contro la Spagna, forse di più. Nella quale imporre l’egemonia sulla tre quarti avversaria sarà difficile. 
Il rischio di ripiegare nel piano B, e cioè l’arrocco in difesa e le ripartenze, è un’ipotesi che turba. Non solo perché ci condannerebbe a novanta o centoventi minuti al cardiopalma. Ma perché l’Italia è diventata la sorpresa di questi giochi grazie al suo coraggio tattico. Nell’unico messaggio che si lascia sfuggire, il cittì assicura che non verrà meno a questo spirito. Vuol dire che gli azzurri proveranno a imporre il loro gioco, ad attaccare per segnare, ma anche per difendere e consolidare il vantaggio, se il vantaggio verrà. Vuol dire che si giocherà ancora una volta a centrocampo una sfida nella sfida: quella per spostare in avanti il baricentro. Il nostro creativo palleggio potrà più delle pragmatiche geometrie inglesi? 
Su questa domanda poggiano le pretese italiane. Sì, al punto in cui siamo, si tratta di pretese. «Se vogliamo divertirci, ci sono ancora novanta minuti per farlo», dice Mancini sapendo di mentire, per sdrammatizzare. Ma qui non si diverte più nessuno. Vincere e prendersi la Coppa è un obiettivo irrinunciabile per una squadra di talenti in via di valorizzazione e calciatori più esperti per i quali il successo è una rivincita con il destino. Ma è un obiettivo irrinunciabile anche per milioni di italiani, il cui nazionalismo sportivo si carica contro gli inglesi di un’intensità speciale. Se poi la Regina ci mette del suo, e annuncia che non vede l’ora di consegnare idealmente la Coppa ai leoni così come fece appena cinquantacinque anni fa, allora il dispettuccio reale diventa uno sfizio troppo grande per rinunciarvi. 
Lottate e vincete, azzurri, nel nome della rivalità. E soprattutto nel nome dell’amicizia, che resta la cifra sportiva ed esistenziale di quest’avventura. L’amicizia di un gruppo affiatato, dove chi esce fa il tifo per chi entra. L’amicizia di Roberto Mancini e Gianluca Vialli, lunga una vita, e non priva di asperità, di alti e bassi, di gelosie e grandi recuperi, di indicibili solidarietà. C’è un libro che in questi giorni porta questo valore al successo: «Due vite», di Emanuele Trevi, conquista il Premio Strega raccontando quale straordinaria energia può sprigionarsi da un’amicizia. Dopo una lunga e penosa stagione di divisioni e separatezze, fisiche e morali, stanotte vorremmo sentirci tutti uniti in questo meraviglioso sentimento umano. Forza azzurri!


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