Jurgen Klinsmann, tedesco cittadino del mondo

Da calciatore, dopo i primi anni in Bundesliga, ebbe modo di giocare in Italia, Francia e Inghilterra. Appesi gli scarpini al chiodo, dopo l’esperienza sulla panchina della Germania nel Mondiale 2006, ha guidato anche gli Stati Uniti nella spedizione brasiliana del 2014
Jurgen Klinsmann, tedesco cittadino del mondo
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Che Jurgen Klinsmann fosse più un cittadino del mondo che un tedesco di Germania lo si era capito già quando era calciatore e vestiva la maglia bianca della sua nazionale. Ai tempi, infatti, le settimane di vacanza che separavano la fine di una stagione sportiva con l’inizio del ritiro per preparare quella successiva, questo attaccante, nato a pochi chilometri di distanza da Stoccarda il 30 luglio 1964, le passava spesso in giro per il mondo con lo zaino in spalla. Magari facendo l’autostop, mentre i compagni che frequentava undici mesi l’anno preferivano il sole di qualche località marina alla moda in attesa del paparazzo che potesse dare ancor più eco ai loro ego spesso ipertrofici. Klinsmann no, non rispondeva ai connotati standard del calciatore di successo, per giunta adorato campione in terra straniera. Lui, già da ragazzo, preferiva scoprire il mondo per conoscere, osservare, studiare, imparare cose nuove. Un occhio sofisticato lo poteva notare anche dal modo in cui scendeva in campo: tecnicamente niente più che discreto, Jurgen lavorava sul fronte offensivo senza calpestare l’azione dei compagni d’attacco, con movimenti intelligenti che creavano spazi o li andavano a cercare per inserimenti spesso vincenti. Istintivamente portato alle dinamiche del gioco collettivo, come la successiva carriera di allenatore saprà testimoniare, riusciva sempre a trovare la sintonia giusta col partner offensivo, che fosse il ruvido Serena nell’Inter o il felpato Voeller in nazionale.

L'esperienza all'Inter

Arrivò all’Inter nell’estate del 1989: era la squadra di Trapattoni, quella che aveva appena vinto lo scudetto dei record, nella quale andava a sostituire Ramon Diaz per formare, con Matthaus e Brehme, il presidio tedesco da opporre a quello degli olandesi stanziati sulla sponda rossonera della Milano da bere. Aveva avuto un assaggio amaro del calcio italiano qualche settimana prima con la sua squadra di provenienza, lo Stoccarda, che aveva perso la finale di Coppa UEFA contro il Napoli. Trofeo che riuscì ad acciuffare due anni dopo con la sua nuova squadra in un doppio confronto ancora contro un’italiana, stavolta la Roma. Tre stagioni intense, dove segnò e fece segnare. Tre anni nei quali cadde anche il trofeo più importante vinto da Jurgen: il titolo mondiale levato al cielo di Roma con la nazionale tedesca. Un periodo nel quale Klinsmann si fece apprezzare come uomo prima ancora che come calciatore quando, spinto dalla sua intrinseca curiosità, chiese al compagno di squadra Malgioglio perchè, alla fine di ogni allenamento, non si intrattenesse mai a scambiare due chiacchiere coi compagni e scappasse sempre così di fretta col suo Maggiolino. Malgioglio, il vice di Zenga in quell’Inter fortissima, gli spiegò che gestiva una palestra per la rieducazione motoria di bambini cerebrolesi. Jurgen non si accontentò di quella risposta, volle andare a vedere coi suoi occhi di cosa si trattava, come il suo compagno Astutillo, sempre serio e riservato, spendesse il suo tempo fuori dal campo. Andò, comprese e, senza un battito di ciglia, staccò un assegno di 70 milioni di lire per sostenere quell’attività così lontana dal mondo patinato dei calciatori di Serie A.

Monaco, Tottenham e il ritorno al Bayern

Dopo l’esperienza di Milano, Klinsmann proseguì la sua carriera internazionale: due anni al Monaco in Francia, uno al Tottenham e quindi il ritorno in patria al Bayern Monaco. In Baviera c’è tempo per vincere un’altra Coppa UEFA e ritrovare uno dei personaggi migliori conosciuti in Italia, il Trap dell’Inter dei record col quale riesce a conquistare un altro campionato. In mezzo, en passant, un Europeo vinto con la nazionale in Inghilterra. L’ultimo anno di carriera fu quello dei saluti: dapprima all’Italia, vestendo per qualche mese la maglia della Sampdoria del dopo Mancini e quindi al Tottenham, dove i suoi ultimi gol, in particolare una quaterna inflitta al Wimbledon, aiutarono gli Spurs a salvarsi.
Del suo profilo internazionale la Pantegana Bionda, appellativo affibbiatogli dalla Gialappa’s Band per il modo in cui rotolava a terra dopo i falli subiti o presunti tali, ha dato conferma anche nelle vesti di allenatore.

La carriera da allenatore

Dopo aver condotto una giovane Germania a un brillante terzo posto nel Mondiale casalingo del 2006, Klinsmann ha guidato la selezione statunitense nel quinquennio 2011-2016, raggiungendo un ragguardevole ottavo di finale ai Mondiali brasiliani del 2014. Alla ricerca costante dell’equilibrio fra spazi di crescita personale e affermazione professionale, Klinsmann rappresenta oggi un modello di allenatore con un profilo fortemente orientato allo sviluppo di squadre nazionali alla ricerca di affermazione, essendo la crescita dei giovani e le competizioni internazionali gli scenari nei quali si contestualizzano al meglio le sue doti umane e d’esperienza.   


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