Raspadori e Kean, belli freschi

Raspadori e Kean, belli freschi© Getty Images
Ivan Zazzaroni
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Abbiamo giocato contro nessuno, ma ci siamo ugualmente divertiti grazie ai ragazzi impiegati per “consunzione” (del gruppo) da Mancini. Tra acciaccati, sfibrati, richiamati per questioni personali e altri che hanno preferito lo smart working, il ct è riuscito a metterne insieme undici mandando in campo una decina di “survivor”. Che l’hanno premiato. La cosa non mi ha sorpreso: da fine marzo ho praticamente “adottato a distanza” il mio concittadino Raspadori, riconoscendogli doti non comuni (mi ricorda il Paolo Rossi di Perugia), un altro che mi piace un sacco è Pessina: averli visti insieme in azzurro e soprattutto protagonisti è stato doppiamente piacevole.
     Evitando lo scontatissimo e inopportuno confronto tra Raspadori e Immobile - Ciro ha un’altra storia e un’altra sostanza, anche se non ha abbattuto le resistenze dei critici superciliosi -, non nascondo che i movimenti, il tempismo e la partecipazione al gioco del centravanti del Sassuolo hanno certamente catturato l’attenzione di molti. Ottime cose ha fatto anche Kean, più potente del compagno ma meno disciplinato tatticamente, e insomma alla fine la presenza di tanti giovani ha dato un senso compiuto alla serata.
     Ricordo che quando ho chiesto a Mancini cosa pensasse di Raspadori e Scamacca, la risposta è stata identica: «Sono bravi, ma devono giocare». Ovvero: devono farli giocare invece di andare a prendere stranieri “agevolati” da decreti crescita e altre gherminelle fiscali. Diverso è il discorso che riguarda Zaniolo: il suo avversario più tosto è la sfortuna. Gli auguriamo di avere già pagato il conto per intero.

La Superlega non si batte offendendo

Nei giorni scorsi il presidente dell’Uefa Al-Ceferìn e quello di Eca e Psg Al-Khelaifi sono tornati a (s)parlare della Superlega. Il primo, sempre sopra le righe nei toni e nei termini, per ricordarci che «era un’idea ciarlatana e disgraziata» e sottolineare che dopo la tempesta Covid il suo ex amico «Agnelli è scappato dalla nave»; il secondo per informarci che «il progetto non aveva a cuore la difesa degli interessi del calcio». Mentre lui che, con i fantastilioni di uno Stato sovrano quale è il Qatar, ha appena aggiunto Messi a Neymar, Di Maria, Donnarumma, Ramos, Verratti, Goku e Vegeta, non pensa che al bene del prossimo.
     Da Barcellona non si è fatta attendere la risposta di Laporta che, ritrovandosi con le pezze al culo anche per colpa del suo predecessore Bartomeu, ha dovuto tagliare Messi, Griezmann e Pjanic (plusvalutato l’anno prima 70 milioni): «La Superlega non è morta». Olé: l’idea di un campionato per i top club con un’articolazione innovativa in grado di catturare denaro e nuovi appassionati, insomma, cova ancora sotto le ceneri del calcio mondiale.
     Per affrontare e disarmare i superleghisti, assai più realisti e coinvolti economicamente di chi li governa, non servono frasi ad effetto e continui attacchi, fin troppo coloriti, a mezzo stampa: il problema va affrontato seriamente in tutti i suoi aspetti. In primis, la fuga dei giovani dal calcio considerato uno spettacolo vecchio, lento, di scarso appeal. Il tema della sostenibilità, poi, non si risolve con un aggiornamento del Fair Play Finanziario che fa ridere, come ha brillantemente spiegato Alessandro Giudice. Ma con regole chiare che interessino tutti (dai presidenti agli agenti) e rispettate. Governare, lo ricordo, non significa soltanto imporre degli obblighi ma condividere i problemi e le soluzioni. La risata aumenta quando a difendere il FPF è peraltro lo sceicco di turno che dispone di risorse illimitate.
     PS. Per la prima volta nella storia da quando esiste lo streaming, la conferenza stampa dell’Eca non è stata trasmessa. Temevano che girassero all’infinito rotelline e palle.


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