Non facciamoci del male

Non facciamoci del male© Getty Images
Ivan Zazzaroni
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E così, nel giro di poche ore, siamo passati dalla prostituzione intellettuale di una dozzina di anni fa alla disonestà intellettuale di questa settimana. Un bel progresso: da puttane a disonesti, ancorché intellettuali, e insomma non ci facciamo mancare proprio niente, a parte le coppe europee. All’amico brasiliano che mi chiede come ce la passiamo fra l’eliminazione della Juventus, la paura per i Mondiali del Qatar, ancora così lontano ma fi n troppo vicino, il Covid e soprattutto l’Ucraina, rispondo che viviamo in piena schizofrenia. Siamo - come dicono a Rio - esquizofrênicos. A ogni livello. E l’ispirazione viene dall’alto: spediamo agli ucraini disperati giubbotti, elmetti in kevlar, metal detector e robot per lo sminamento, mentre a Putin paghiamo ottanta milioni al giorno perché ci rifornisca di gas. In compenso, facciamo la faccia dura all’arte, allo spettacolo, allo sport, epurando Dostoevskij, i maestri di musica, addirittura gli atleti paralimpici e le squadre di calcio russe.

Certo ci sentiamo più liberi, più forti, anzi fortissimi perché il governo dice che la pandemia è passata, anche se i sommi virologi denunciano la crescita dell’omicron così distante dall’omega e l’ingresso dell’ennesima variante. E mentre Palermo annuncia festoso il pienone del Barbera per Italia-Macedonia, i media anticipano come Cassandra - nota comunicatrice di sfiga - il funerale della Nazionale di Mancini. E per fortuna che c’è Ciro Immobile (Balo all’ultimo è rimasto a casa a favore di João Pedro), l’Enea sulle cui spalle salirà Anchise Gravina per evitare la fine di Tavecchio. Ma oggi, se Dio vuole, è (ancora) sabato. Un sabato al profumo di scudetto, di sogni usurati ma non estinti, che precede i giorni che cambieranno il futuro del nostro calcio. Un sabato al quale chiediamo di aprire, per non chiuderla più, una parentesi di ottimismo e speranza: sono otto ore piene, partendo dal Napoli per arrivare al Milan attraverso l’Inter. Ore che devono ricordarci che non siamo i più disgraziati raccontati da commentatori e tifosi frustrati dalla Championexit, così come non eravamo i più belli d’Europa nel luglio scorso, il mese del miracolo: nelle coppe, lasciatemo dire, ci hanno condannato più gli episodi e le tante assenze che il gioco: abbiamo perciò il dovere di tornare a credere nelle capacità dei nostri tecnici migliori, da Mancini a Allegri, da Spalletti a Pioli, a Inzaghi, apprezzati più all’estero che in Italia. Per i campioni e i talenti suggerisco di ripassare più avanti. Oppure di citofonare Susy.

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