Bearzot contro tutti, Maradona gli fa un baffo

Retroscena, rivalità e segreti: ripercorriamo il trionfo spagnolo. Che ebbe il momento di svolta il 29 giugno di quarant’anni fa
Bearzot contro tutti, Maradona gli fa un baffo
Italo Cucci
8 min

A maggio del 1976 il Circo Azzurro sbarcò a New York, invitato al Bicentennial, il duecentesimo compleanno degli Stati Uniti d’America, insieme al Team America, all’Inghilterra e al Brasile. C’era chi si diceva orgoglioso dell’invito, italiani trattati come Padri Fondatori - a parte Al Capone - e invece eravamo lì perché, come gli inglesi, esclusi dagli Europei. Che furono vinti dalla Cecoslovacchia con quel rigore deliziosamente sparato a cucchiaio da Antonin Panenka. Così come era di là da venire “Azzurro tenebra” di Giovanni Arpino. In effetti c’eravamo dentro, da Germania ‘74, da Ludwigsburg - luogo del naufragio - e da Stoccarda, luogo della condanna. Il giorno dopo la sconfitta rimediata con la Polonia il Ct Valcareggi andò al mare, a Viareggio, il suo vice Bearzot al paese natale, Aiello del Friuli. Io parlai con Franchi e gli cedetti Fulvio Bernardini, da tempo columnist del Resto del Carlino, dove lavoravo.

A New York Bernardini e Bearzot sedevano insieme sulla panca. Detestandosi. E tutto diventòdi dominio pubblico quando stavamo vincendo 2-0 contro l’Inghilterra e invece alla fine perdemmo 3-2. Dando inizio a una storia che non dimenticherò mai, subito segnata dalle intemperanze dei critici, me compreso ma per ragioni diverse dai miei compari d’avventura. Seppi che dall’altra parte i critici guidati da Brian Glanville del “Sunday Times” - un tempo mio collaboratore rivelatosi rabbioso antitaliano - detestavano Don Revie e alla fine della partita potei scrivere che Brian e molti dei suoi colleghi erano neri come la pece perché l’Inghilterra aveva vinto e i giornalisti italiani nella stragrande maggioranza erano allegri come pasque perché l’Italia aveva perduto. Non c’era bisogno della successiva penosa sconfitta col Brasile per far tornare le tenebre. Un osservatore segreto mi raccontò cosa succedeva sulla panchina azzurra durante la partita. Una comica. Bearzot gridava per tutto il tempo ma nessuno lo ascoltava; Bernardini ogni tanto gli dava nella voce poi si prendeva la testa fra le mani, si girava di trequarti e andava in catalessi. Incompatibili l’un l’altro. Qualcuno aveva lavorato bene a favore di Bearzot, spifferando i (poco) segreti di Casa Italia, se è vero che alla conferenza stampa un giornalista inglese s’era rivolto a Bernardini con un insolente «Che cosa fa lei qui? A noi risulta che il tecnico della Nazionale italiana è Bearzot. Non vorremmo perdere tempo per niente». In breve tempo furono accontentati, la Federazione silurò il Dottor Pedata e promosse CT il Vecio. Paradossalmente i critici italiani diventarono tutti bearzottiani: Bernardini li aveva trattati con noncuranza, arrivando addirittura a schernirli. 

Restai solo con lui, attaccai duramente Bearzot trattandolo da traditore per lungo tempo finché un giorno un mio redattore, Darwin Pastorin, invaghitosi del Vecio, cercò e ottenne una sua serenissima intervista, che pubblicai senza tuttavia mutare parere. Ci vollero mesi perché tutti i bearzottiani gli si voltassero contro per le scelte tecniche non condivise, visto che l’ex cuore granata Bearzot stava riempiendo il Club Italia di juventini. Roma e Milano - più tardi in difesa di Pruzzo e Beccalossi, due grandi esclusi - con i rispettivi giornali si ribellarono, Rai compresa. La forza del destino decise i giochi. Il 17 aprile 1978, mentre eravamo a Budapest per spiare l’Ungheria, Pier Cesare Baretti, direttore di “Tuttosport”, approfittando del fatto che eravamo tutti nello stesso albergo, l’Hilton di Pest, mi fece incontrare Bearzot. Il Vecio e io ci parlammo una notte intera e alla fine avevamo superato tutti i malintesi, diventando financo amici. Una volta dippiù mi trovai quasi solo a difendere la Nazionale. Tenendo tuttavia nel cuore Fulvio Bernardini che al Vecio aveva lasciato un bel gruppo per Argentina ‘78 con Tardelli, Scirea, Benetti, Antognoni, Zaccarelli, Graziani, Bettega, più Facchetti, Causio, Bellugi, Maldera, Pecci, Patrizio e Claudio Sala, e Zoff, Facchetti e Causio ai quali Bearzot aggiunse con un colpo di genio Antonio Cabrini e Paolo Rossi. E non dimenticai che il passaporto per l’Argentina l’avevamo conquistato battendo a Roma proprio l’Inghilterra 2-0 il 17 novembre cancellando le tenebre del Bicentennial.

Lascio l’Argentina ‘78 - dove battemmo l’Albiceleste con un gol di Bettega - per tuffarmi, con un salto di quattro anni, a Italia-Argentina 1982, oggetto di questa rievocazione. Si giocó il 29 giugno allo stadio Sarriá di Barcellona e la vigilia fu tormentata dalle polemiche più velenose scatenate dai media nemici di Bearzot, vieppiù inaciditi dopo il silenzio stampa deciso dal Club Italia nel ritiro della Casa del Barón a Pontevedra, a causa - ma fu una scusa - della sparata di uno scriba lombardo che aveva dileggiato Cabrini e Rossi, compagni di stanza, trattandoli da fidanzatini, subito tradotti dagli spagnoli in maricones, come dire finocchi, froci. Gay. 

A quel punto ero diventato lo zimbello dei criticonzi perché nonostante la faticosa qualificazione ottenuta con Perù, Polonia e Camerun, continuavo a dire - anzi a gridare - che avremmo vinto il Mundial. Ero ancora solo, altri fedelissimi del Vecio s’erano defilati con discrezione. Solo contro una legione di incazzati che non risparmiarono al Ct azzurro ogni sorta d’insolenze. Parlarono e scrissero dell’Armata Brancazot, del Ct “dalle meningi bollite”, incompetente, rimbambito, illuso, incapace, e dei giocatori ch’erano arroganti, viziati, damerini, traditori, spocchiosi. 

In questi giorni chi non c’era si diverte a fare i nomi dei giornalisti in prima fila - insieme a note pettegole à la page - a porgere un sollecitato pernacchio agli azzurri; e quasi tutti pescano in un’antologia/sciocchezzaio che pubblicai sul Guerino dedicandola in particolare a quelli che dopo la vittoria finale erano saltati sul carro dei vincitori. Personalmente, ho deciso di dar loro pace, un po’ perché in quarant’anni se ne sono persi tanti, ma soprattutto perché ci sono pentiti, rinsaviti, rincoglioniti, amici ritrovati che non meritano - almeno da me - una rinnovata gogna. Risparmio anche quei politici che alla vigilia dell’atteso incontro con Maradona avevano chiesto il rimpatrio degli azzurri, accusati di percepire premi milionari. Su questo tema si accese una clamorosa polemica al Processo Mondiale di Biscardi, ancora in Rai: per avere difeso la Nazionale a spada tratta, ribadendo che avremmo battuto l’Argentina per ipotecare il titolo mondiale, fui aggredito al grido di “fascista” da due esemplari del compromesso storico calcistico, un comunista è un democristiano. La trasmissione ebbe ascolti pazzeschi. 

Il mattino dopo, partendo da Linate per Barcellona - facevo spesso avantindré per curare il giornale - fui accolto all’aeroporto da decine di sostenitori che inneggiavano all’Italia. Arrivai al Sarriá, mi sedetti in tribuna senza poter scegliere chi avere accanto. Al gol di Tardelli mi parve d’impazzire, a quello di Cabrini, con un cuore grosso così riuscii a non saltare in aria rispettando il dolore di molti colleghi italiani che mi stavano accanto. Dissi soltanto “Visto che Gentile?”. Maradona non gli aveva fatto un baffo.
 


© RIPRODUZIONE RISERVATA