Federico Chiesa, il bivio al centro del villaggio

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Federico Chiesa, il bivio al centro del villaggio
Roberto Beccantini
3 min

Rimettere la chiesa al centro del villaggio: si presentò così, Rudi Garcia, alla Roma romanista. Ne agitò l’orgoglio; ne decorò la classifica. E se di mezzo non ci fosse stata la Juventus, chissà. La missione, oggi, tocca a Luciano Spalletti, dal momento che la sua Chiesa è finita addirittura in periferia. Federico, 26 anni, 45 presenze e sette gol in Nazionale.
Fiorentina, Juventus, Italia. E come maestri: Paulo Sousa, Stefano Pioli, Vincenzo Montella, Beppe Iachini, Andrea Pirlo, Massimiliano Allegri. In azzurro: Gian Piero Ventura, il primo a convocarlo; Luigi Di Biagio, il traghettatore che lo fece debuttare; Roberto Mancini, lo stratega che lo innalzò al rango di campione d’Europa. E quindi Spalletti, il precettore che intende recuperarlo: «È il nostro Sinner», non esattamente uno slogan da basso impero.

Chiesa, l'infortunio e le scelte di Allegri

Da via Allegri, sede della Figc, ad Allegri via, i dibattiti tritano sentimenti e risentimenti: colpa del Feticista, nel solco della “fuga” di Dejan Kulusevski, se Federico, dal grave infortunio al ginocchio sinistro rimediato il 9 gennaio 2022 durante Roma-Juventus 3-4, non si è più ripreso. La speranza è che, sì, la colpa sia di Max. Solo sua. Tutta sua. Perché, in caso contrario, poveri noi. Brutto segno, quando la posizione, dentro o al confine del ruolo, cattura la polpa delle scaramucce. Allegri lo impiega da seconda punta in un 3-5-2 che sino all’1-1 con l’Empoli del 27 gennaio aveva proiettato Madama ad altezza Inter.

Chiesa e la Nazionale di Spalletti

Altra musica, lezioni americane a parte, in Nazionale: 4-3-3 e scrivania, di norma, sulla fascia mancina. Con licenza d’invadere l’area, ci mancherebbe, e di mirare al bersaglio grosso. A essere pignoli: nella Juventus, più centro-sinistra (e persino a destra, talvolta); in Nazionale, più sinistra-centro. Resta, l’ex Viola, un solista che i tecnici di turno si sforzano di plasmare piegandone le caratteristiche alle proprie dottrine. Papà Enrico non nacque goleador: lo diventò, dopo aver frequentato il gesso delle corsie laterali. È il disegno che accompagna l’evoluzione-involuzione del figlio. Siamo al bivio: insistere o fissare la vetta della carriera agli scrosci dell’estate 2021, allorché rimontò Domenico Berardi nelle gerarchie e inflisse reti preziose ad Austria e Spagna? Nessun dubbio: insistere.

Quale futuro per Chiesa?

Mi sarebbe piaciuto vederlo all’opera nel Liverpool di Jurgen Klopp; per poi, magari, tirare le somme. «In un viale senza uscita, l’unica uscita è nel viale stesso», sosteneva papa Karol Wojtyla. Per adattarlo, bisogna schierarsi e tradurre la metafora: chi è il “viale”, l’allenatore o il giocatore? Non discuto i limiti dell’Allegri-bis. Su un dettaglio, però, non ha torto: cercare, in Chiesa e da Chiesa, una manovra che sia “anche” orizzontale, per liberarlo dalle catene delle sgassate verticali che molto lo celebrano e moltissimo lo logorano; al netto degli spazi che i rivali, ora che lo hanno studiato, sempre meno gli concedono. Il sogno di un Chiesa in “doppia cifra” ci ha probabilmente confuso e illuso. Ma pure Federico deve aiutarci ad aiutarlo. E scegliere, “da” grande, cosa fare “di” grande.


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