Irriverente ma calzante, il suo paragone è attendibile: «Mi sento come Rita da Cascia, la santa dei casi impossibili». Ezio Capuano è fatto così, ama offrire stridule analogie per sintetizzare lunghi concetti. «Le chiacchiere stanno a zero, sono un uomo concreto, l’allenatore dei casi disperati».
Lo è diventato senza essere stato giocatore.
«Disse bene Arrigo Sacchi: Per essere un fantino non occorre essere stati un cavallo».
Lei giocava, era una promessa.
«Avevo grande tigna, qualità e quantità, ma a 17 anni mi ruppi un gomito e smisi, sarei diventato un grande nonostante la mia statura».
Quell'altezza per la quale, con autoironia, si confrontò con Mourinho.
«Un momento bellissimo vissuto alla Pinetina. Partecipavo a un master, parlammo a lungo, in modo aperto e spregiudicato. Fui molto apprezzato: “Sei pure tu uno Special One” mi disse e replicai: Semmai un Mini One”.
Dire ciò che pensa ha influito sulla sua carriera?
«Al contrario, tengo sempre tutto dentro, in silenzio rispetto a tante carognate, convinto di ottenere la rivincita».
Com’è accaduto con il Taranto.
«Una delle tre piazze dove volevo tornare. Fui cacciato 21 anni prima da Pieroni senza un motivo reale. Giurai che sarei tornato per fare grandi cose».
Le ha fatte.
«Il presidente Giove, dopo due giornate, mi affidò una squadra costata niente chiedendomi la salvezza. Un caso disperato, come quelli di Santa Rita».
Taranto nei playoff, invece, al posto di club che hanno speso tanto.
«I club dei “Ricchi e scemi” come Giulio Onesti diceva dei presidenti di calcio».
Si sente un Robin Hood.
«In effetti è così, abbiamo tolto un posto nei playoff ai ricchi dandolo a noi poveri del Taranto che vantiamo la seconda migliore difesa dopo il Catanzaro».
Friggendo pure questa volta il pesce con l’acqua.
«E’ una specialità di cui vado fiero, neanche Cannavacciuolo riuscirebbe a farlo».
E gli altri due club in cui vorrebbe la rivincita?
«Sambenedettese in primis, fui chiamato dal presidente Fedeli: squadra terz’ultima in classifica, arrivammo secondi e fui cacciato. Ai playoff saremmo andati in B dove salì il Cosenza arrivato quinto. Fu una vigliaccata, un’infamità ma io sono ancora qui e Fedeli è fuori dal calcio».
La terza?
«Avellino, sognavo di allenare dai tempi di Antonio Sibilia, tra i pochi presidenti a capirne di calcio. Mi stimava, mai volle affidarmi la squadra, sapeva che non gli avrei consentito di interferire».
Ma ad Avellino ha allenato.
«Situazione societaria disperata, la portai ai playoff e fui cacciato, nonostante l’eredità lasciata».
Quale?
«Un certo Fabiano Parisi non aveva spazio nelle giovanili, lo segnalai all’Empoli e ora l’Avellino continua a ricevere sostanziose plusvalenze».
Con l’Empoli ha una corsia preferenziale.
«Da quando smisi di giocare e Silvano Bini mi fece fare l’osservatore in Campania. Gli portai un certo Montella e tanti altri, fino a Parisi. A breve un altro paio di talenti».
Quali?
«Matias Antonelli, era nell’Interregionale e nel Taranto gli ho cambiato ruolo, lo paragono a Gatti, è proiettato nel grandissimo calcio. Forse anche Ferrara andrà all’Empoli. Oltre a risolvere i casi disperati, faccio la fortuna delle società».