Francesco Statuto: "Etica, lavoro, rispetto. Da noi si cresce così"

L’ex centrocampista della Roma in panchina, spiega il progetto: "La cultura del risultato non paga. Nel City sempre prima i valori umani"
Francesco Statuto: "Etica, lavoro, rispetto. Da noi si cresce così"
Tullio Calzone
7 min

Francesco Statuto, il Roma City FC prende forma. Sensazioni? 

«Positive. Vedo i ragazzi con voglia di lavorare e apprendere. Il nostro progetto va strutturandosi per step. La vittoria in Coppa Italia fa ben sperare».

Un progetto che si basa su “regole d’ingaggio“ chiare condivise con la società. Non farete solo calcio. E’ così? 

«Aboliremo le pressioni del risultato a tutti i costi. Vogliamo far crescere i ragazzi facendoli divertire e consentendo loro di trascorrere tempo in serenità. Il calcio di una volta era un gioco prima che una competizione». 
 
Anche i criteri di selezione del gruppo di atleti con cui affrontare la Serie D sono stati particolari. Ci può spiegare meglio? 
 
«Intanto, ci siamo fidati dei nostri due direttori sportivi (Emiliano Donninelli e Claudio Carelli, ndr) che hanno tanta esperienza della categoria. Poi la selezione è avvenuta entrando in contatto con i ragazzi, verificando se anche dal punto di vista della mentalità potevano far parte di un progetto a lungo termine». 
 
Insomma, gli aspetti tecnici sono una delle componenti della vostra filosofia. Giusto? 
 
«Assolutamente, sì. Noi cerchiamo l’uomo prima del calciatore. È l’aspetto prevalente, anche se si tratta di ragazzi. Vogliamo creare un ambiente in cui tutti si integrino, condividendo valori». 
 
Avete selezionato solo italiani: una scelta o una coincidenza? 
 
«Abbiamo tesserato quelli che ci sono stati proposti. Ma non ci sono preclusioni». 
 
Quanti ragazzi avete visionato? 
 
«Finora una trentina. Ma lo screening era già stato fatto dai ds. Poi la collocazione tecnico-tattica dei calciatori l’abbiamo fatta io e Berretta (il vice allenatore e anche lui ex Roma, ndr). La filosofia del presidente Doino è in linea con gli obblighi della categoria in cui bisogna far giocare gli Under nati tra il 2001 al 2004: almeno 4 per ogni formazione schierata con cambi a caduta. Ma l’obiettivo che si è dato il City è creare una “filiera” dal settore giovanile alla prima squadra». 
 
Il Centro sportivo in cui lavorerete, a regime, potrebbe ospitare l’Italia di Mancini. Siete partiti dalle infrastrutture? 
 
«E’ fondamentale avere impianti adeguati. Noi vogliamo dare ai nostri atleti uno spazio giusto in cui svilupparsi in armonia». 
 
Il Riano Athletic Center, il quartier generale della società, avrà come motore propulsivo una scuola calcio destinata a diventare un punto di riferimento non solo per il Lazio. E’ così? 
 
«Vogliamo far crescere i nostri giovani in una casa nostra anche per sottrarci alla necessità di comprare i cartellini di giocatori da altri club con i quali ci auguriamo tuttavia di collaborare. Nel settore giovanile la filosofia sarà la stessa della prima squadra. Eviteremo così di mettere assieme ragazzi che vengono da esperienze e da metodi di lavoro differenti, fattori che non aiutano nella formazione di un team. Questo è un concetto che il professor Claudio Bordon (il responsabile della preparazione, ndr) mi ha trasmesso all’Udinese. Ma già alla Roma c’era un format analogo». 
 
Anche lo staff, con professionisti di grande qualità, è nato attorno a un’idea precisa? 
 
«Nelle Nazionali Dilettanti in cui ho lavorato ho notato che spesso i giovani non vengono curati molto sotto il profilo psico-fisico e nella mentalità. La dispersione che spesso avviene nel calcio di base è dovuta al fatto che i ragazzi vengono privati dell’entusiasmo nell’affrontare sacrifici indispensabili per diventare professionisti. Non si arriva in A e in B per caso. Se non c’è etica del lavoro non si va lontano. Giocare al calcio non è solo un fatto tecnico, occorre una visione condivisa. Il tentativo del Roma City FC è costruirne una propria dal basso con umiltà. Con Berretta vogliamo trasferire agli atleti l’idea dell’indispensabilità del lavoro. L’unico modo per realizzare i propri sogni». 
 
Ma a cosa guarda il Roma City? 
 
«Sappiamo che i primi anni saranno difficilissimi. Vogliamo strutturarci nel tempo e provare a costruire qualcosa di significativo attorno alle idee di cui abbiamo parlato e confrontandoci anche con le altre realtà presenti sul territorio. Ne esistono tante con anni di attività alle spalle e con capacità organizzative enormi e di livello. Siamo pronti a imparare da tutti in uno spirito sportivo senza inutili rivalità». 
 
Ma davvero sperate di sfidare un giorno Roma e Lazio per regalare altri derby alla Capitale? 
 
«È il grande sogno. Chi non ne ha? Ma non sappiamo dove sarà possibile arrivare, certo l’energia che ci sta trasmettendo il presidente Doino, un imprenditore che si è fatto da solo, affonda le radici nei tanti sacrifici affrontati nella vita grazie ai quali può alimentare una passione che non si è mai spenta per Roma, la sua città, e per il calcio capitolino. E’ la base di tutto. Anche se regalare ai nostri giovani una prima o una seconda opportunità di potersi realizzare è gratificante».  
 
Tra gli allenatori che ha avuto da quali prenderà di più? 

«Il primo tecnico è stato Adriano Lombardi, un indimenticabile maestro che non c’è più. Giuseppe Materazzi ha creduto molto nei giovani e in me in particolare, è stato un padre che mi ha permesso di continuare a giocare a Piacenza. Facile riconoscere i meriti di Mazzone. Ma io provo gratitudine per tutti i tecnici che ho avuto, da Spinosi a Barbanti. Anche per quelli dell’Acli Italia, la società in cui mi sono formato da bambino». 
 
Altri ringraziamenti dovuti? 

«Sono grato al presidente Doino che mi ha dato una grande possibilità. Poi a Daniele che ha lasciato Londra per sposare il progetto. Ammiro il professor Bordon, potrebbe lavorare in qualsiasi grande club europeo e invece ha puntato su di noi. E, infine, ringrazio i miei ragazzi perché hanno dimostrato intelligenza nel mettersi a disposizione. Senza dimenticare i collaboratori, le maestranze e i lavoratori che, in condizioni difficili, non ci hanno fatto mai mancare niente». L’esempio concreto di ciò che anima questa società. 


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