Quando Maradona anticipó la mano de Dios a Udine

Il Napoli è legato allo stadio di Udine da prodezze, personaggi e tanti episodi decisivi
Quando Maradona anticipó la mano de Dios a Udine© ANSA
Antonio Giordano
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Una volta, l’avrebbero chiamato campo-trappola: proprio la Dacia Arena, con la sua modernità, un progetto che ha anticipato i tempi. Qui sono successe talmente tante cose, negli ultimi anni, che ripensare alla prove generali della “mano de dios” sa di preistoria: però è accaduto anche questo, nel lontano 12 maggio del 1985, all’ultimo minuto d’una partita pirotecnica, 1-0 per il Napoli, aggancio e sorpasso dell’Udinese di Vinicio, e irruzione molto più che sospetta del “pibe de oro”, che cominciò a prendere le misure. E in questo stadio in cui, però, c’è una tradizione largamente favorevole (è da quattro anni che il Napoli non ci perde), Sarri ci ha lasciato uno scudetto o almeno una speranza e Ancelotti ci ha perduto (pareggiando) una panchina.
Il 3 aprile del 2016, nella prima stagione di Sarri, c’è un campionato ancora aperto: mancano otto giornate alla fine, la Juventus è avanti di tre punti e al Napoli va di traverso, indigestione completa, quello che viene chiamato lunch-match. Mezzogiorno e mezzo di fuoco e sul serio, perché “el Pipita” perde il controllo di se stesso, dà in escandescenza, lascia i compagni in inferiorità numerica e si prenderà poi tre giornate di squalifi ca. 3-1 per l’Udinese, sulla cui panchina ha debuttato Gigi De Canio. Fine dei sogni.
Un anno fa, sette dicembre 2019, il Napoli di Ancelotti arriva a Udine ancora turbato dalle proprie fratture interne, ma sotto e poi pareggia, però non basta: quella sera, si concretizza l’idea di cambiare allenatore, che già (ovviamente) è germogliata. Il summit del mercoledì precedente, a casa De Laurentiis, con Chiavelli e Giuntoli, aveva rimandato alle gara della Dacia Arena, per avere ulteriori risposte: che al Napoli bastano, evidentemente, e non vengono rettifi cate neppure dal possente 4-0 sul Genk, che consegna la qualifi cazione agli ottavi di finale della Champions. Fine della storia.
Le cattive notizie lasciano a volte tracce più profonde di quelle buone: alla Dacia Arena, novembre 2016, Insigne si scongela dopo un digiuno di 13 partite e con la sua doppietta abbatte un tabù che durava da nove anni. Fine dell’astinenza (anche quella personale, ovviamente). Mentre Fabian Ruiz, trenta milioni di euro appena spesi, un destino che sembra disegnato nel suo mancino, sempre qui, decide di segnare con il destro il suo primo gol napoletano. Fine dei tormenti (almeno di quel tempo, che sembra assai distante).


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