Il Mondiale a crescita zero

Il Mondiale a crescita zero© Getty Images
Ivan Zazzaroni
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In Qatar ho visto pochi allenatori e molti improvvisati, ma anche dei Sassuolo, qualche Atalanta e un paio di Torino, squadre di gente motivatissima, fresca di testa e gambe, tecnicamente inferiore - ma non troppo - ai giocatori delle nazionali più prestigiose. Penso a Giappone, Corea del Sud, Marocco e perfino a Stati Uniti, Australia e Iran. I valori e i risultati a sorpresa che registriamo ogni settimana in campionato li ho ritrovati in questo Mondiale, un torneo di bassa qualità per un’evidente ragione: anche a livello internazionale sono finiti i campioni e quindi si sono sensibilmente ridotte le distanze tra le selezioni top e il resto del mondo.

Non a caso ci siamo aggrappati a Messi, l’Elevato, 35 anni, diciotto dei quali ad altissimo livello, e Ronaldo, quasi 38, da venti in primissima fila. E abbiamo accompagnato il tramonto di Suarez e Cavani, Godin e Thomas Muller, e Pepe; sofferto insieme a Lewandowski, 34, disarmato dalle follie di Michniewicz; e ogni tanto ci chiediamo quanto valgano realmente Lukaku, De Bruyne e Hazard.

Quando, in radio, ho domandato agli ascoltatori quali fossero per loro le stelle della fase a gironi, ho ricevuto queste risposte: Szczesny, Gvardiol, difensore ventenne della Croazia e Julian Alvarez. Il più votato è stato tuttavia il camerunese Vincent Aboubakar che sul passaporto ha trent’anni (...) e gioca in Arabia, nell’Al-Nassr che punta proprio a Ronaldo. Quattro anni fa in campo c’era più qualità, ma solo perché i nomi che ho segnalato avevano quattro anni di meno. Non sono poche le edizioni di Europei e Mondiali in cui abbiamo rilevato un costante peggioramento della spettacolarità del gioco. L’attuale sistema può ancora produrre uno o due fuoriclasse, ma non i campioni che li affiancano elevando il tono generale dell’evento: un Mbappé o un Haaland nascerà sempre, ma i venti, trenta giocatori d’alto livello che non sono mai mancati negli anni 80, 90 e 2000, oggi sono spariti o a fine corsa.

Ai giovani “talentuosi” le attuali dinamiche del calcio non danno il tempo e soprattutto le motivazioni necessarie per trasformare le qualità naturali in valore oggettivo. La mancanza di controllo da parte delle istituzioni ha peraltro incoraggiato il dilagare di un fenomeno che ha permesso a una categoria di agenti e agenzie senza scrupoli di acquistare reiteratamente il diritto a rappresentare questi giovani dietro ricchi compensi, alterando così gli equilibri (familiari e personali) utili per conservare l’impegno e l’umiltà indispensabili se si vuole crescere e migliorare.
Oggi un ragazzo di 16, 17 anni può sentirsi ricco e realizzato senza aver giocato un solo minuto in serie A. Oggi un Musiala e un Ansu Fati sono considerati supertop destinati tuttavia a crescere meno dei Musiala e degli Ansu Fati di trent’anni fa, i quali potevano misurarsi con compagni e avversari molto attrezzati.

Mi piace indicare l’esempio di Bruno Conti: a vent’anni era soltanto un buon giocatore, nell’82 - a 27 - si ritrovò Mbappé. Che varrà anche un miliardo, ma ancora gioca come gli antenati più famosi: divertendosi e divertendo. Non date retta a chi vi dice che è il segno dei tempi, che gli uomini - e i giocatori - di oggi non possono essere quelli di ieri. Così i giovani. Gli ignoranti - nel senso che ignorano - non hanno mai sentito parlare di Gioventù Bruciata anni Sessanta, di inquietudini morali e sociali che un tempo venivano nobilitate dalla parola “rivoluzione”. Il calcio è sempre straordinaria misura d’umanità purtroppo corrotta dal denaro che manda a caccia di milioni non solo i procuratori, ma le mamme e i papà e i fratelli e gli zii. È utile - paradossalmente - la minaccia di dissesto economico dei club, anche dei più ricchi e famosi. È l’invito pressante a recuperare il tempo della ragione.


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