Messi a due passi da Maradona

Un Paese intero attende il trionfo dal 1986. Leo senza appello: è l'ultima possibilità
Messi a due passi da Maradona© ANSA
Fabrizio Patania
7 min

DOHA (QATAR)Musica, maestro. Messi, a due passi da Dieguito, allontana l’idea dell’ultimo tango. No, non può uscire di scena. Deve ballare ancora, con il suo popolo, immaginando il duello da sceicchi con Mbappé, domenica e di nuovo allo stadio di Lusail, se il Marocco non farà fuori la Francia. La finale per il terzo posto sarebbe una dannazione. Un gol, un assist o un’invenzione. Gli manca un soffio per raggiungere il Diez, basta niente per non arrivare al traguardo. Due partite, solo due, per sintetizzare una vita e una carriera nella sublimazione assoluta. Campione del mondo, come Maradona in Messico, il 29 giugno 1986. Leo non era ancora nato. Sarebbe venuto alla luce esattamente un anno dopo, il 24 giugno 1987. Planare su Doha, entrando nel Virtual Stadium allestito dalla Fifa, non significa solo proiettarsi verso la semifinale tra Argentina e Croazia. All’interno dell’anfiteatro tecnologico, costruito con un parterre e due anelli superiori a forma circolare, si respira la storia del calcio moderno. Ogni afflato, qualsiasi ragionamento, si riflette nel numero 10 di Rosario. Prenotano la domanda. Chiedono a Scaloni, si ripetono con Dalic. Lo stesso era accaduto, qualche ora prima, al briefing tecnico con Klinsmann, Zaccheroni e Oliseh. Destino crudele. Messi si gioca l’ultima finale mondiale della carriera. L’ha persa in Brasile nel 2014, eletto miglior giocatore del torneo. Ora deve eliminare Modric, che lo aveva imitato in Russia nel 2018. Non ci sarà un’altra occasione per andare a prendersi il titolo che all’Argentina manca da 36 anni. Qui, stasera , deve eliminare il 10 del Real Madrid. Sembra il clasico, tornando ai tempi del Barcellona. E’ molto di più, anche se dalla Spagna si moltiplicano le indiscrezioni. Leo difficilmente rinnoverà il contratto in scadenza a giugno con il Psg, pronto a tuffarsi su Joao Felix: 120 milioni l’offerta all’Atletico Madrid. Così prende corpo l’idea del possibile ritorno al Camp Nou, caldeggiato da Laporta. Sarebbe un’altra chiusura del cerchio. 

Questa volta, per la Croazia, sarà più complicato disinnescare l’Argentina. Scaloni l’ha costruita come Bilardo in Messico. Messi galleggia al centro, agisce da falso nove, oppure arretra come rifinitore. Libero di inventare. Lo coprono Enzo Fernandez, De Paul e un gruppo totalmente al suo servizio. Un po’ come succedeva a Maradona nel 1986 con Burruchaga e Batista. Davanti si muoveva Valdano. Ora ci sono Julian Alvarez o Lautaro Martinez a sbrigare il lavoro sporco. Messi ha bisogno di una punta in grado di dare profondità e creargli lo spazio in cui infilarsi. Dicono sia diventato un grande camminatore. Controlla il campo come un radar per capire quando è il momento giusto per colpire e ci sta riuscendo benissimo, anche se lo hanno trattato male e criticato all’inizio del torneo. I numeri (4 gol, 2 assist) lo rivelano determinante. Sta tirando fuori una rabbia inattesa. Gli avevano appiccicato un’etichetta: troppo buono, senza cattiveria, per vincere. Dimostra il contrario. L o chiamavano Maestro quando frequentava la scuola media Juan Mantovani, quartiere di Las Heras, zona meridionale della città di Rosario e giocava nelle giovanili del Newell’s Old BoysNon era ancora diventato la Pulce del Barcellona. Un Maestro per l’abilità con la palla e la timidezza del bambino, oggi a due passi dal sogno. Può cominciare a renderlo possibile vincendo l’ultimo duello con il 10 del Real Madrid. Mira bile la differenza tecnica sintetizzata da Walter Sabatini: «Messi è il risultato. Modric la gestione del risultato». 

 

Oggi Leo ha 35 anni e una responsabilità pesantissima. Quella di un popolo ossessionato dal titolo. A Doha sta attraversando il deserto da leader silenzioso. E’ diverso da Maradona nel modo di esprimersi e di rappresentarsi, non nella capacità di rovesciare le partite. Ha eguagliato il primato di Batistuta come capocannoniere della Seleccion nel torneo (10 gol in cinque partecipazioni) e stasera raggiungerà il record di presenze (25) stabilito da Matthäus nella storia del Mondiale. Sabella, il ct della finale in Brasile, nel 2011 gli aveva consegnato la fascia di capitano ascoltando Mascherano. «Era importante che tutti riconoscessero la sua leadership. E’ il nostro simbolo, il nostro portabandiera, forse il più grande di tutti i tempi». Stasera e domenica proverà a togliere il forse.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA