Che la notte non finisca mai

Che la notte non finisca mai© Getty Images
Alessandro Barbano
3 min

Messi come Diego, con l’Argentina sulle spalle verso la finale. Il remake strabilia quanto l’originale, perché quando il calcio è così sublime ferma il tempo, e riabilita paragoni altrimenti improbabili. La pulce che fa Maradona riannoda a uno stesso filo i ricordi messicani e le emozioni qatariote. Lo guardi ubriacare la difesa croata e pensi che un solo genio ha attraversato due generazioni per portare a noi il nettare dolcissimo della fantasia. Allora un pensiero adombra la gioia della notte di Doha: dopo Diego e Lionel non verrà più nessuno come loro. I nuovi campioni, che affollano la sagrestia della pulce per sfilargli di dosso il pallio papale, sono moderni corridori prestati al calcio, perfetti nella loro armonia di muscoli e tecnica. Ma scambiereste l’assist dettato da Lionel al figlio d’arte Alvarez, dopo una serpentina strettissima che manda in confusione tre guardiani croati, lasciandoli - direbbe un poeta risorgimentale - nella vigna a far da pali, la scambiereste una simile magia con i due pur bellissimi gol del celebrato e strapagato Mbappé contro la Polonia? Noi no.  

Come per l’aceto balsamico, gli anni hanno per Messi l’effetto di moltiplicare l’intensità del talento. Venti stagioni di gran calcio hanno depositato sul suo fascio di nervi una memoria che gli dà in anticipo la percezione tattile del gioco e lo fa arrivare sulla palla sempre un attimo prima dell’avversario. Questa divina reattività sfida l’età del ritiro che incombe, e ci illude che il Mondiale d’inverno possa durare in eterno. Scacciando la paura che, oltre Messi, il calcio sarà una performance perfetta, ma senza amore. 
L’ipotesi di una finale con la Francia, che stasera sarà confermata o piuttosto fugata dal Marocco, mette di fronte perciò due estremi della stessa bellezza. Uno, quello dell’aitante ragazzo delle banlieue, destinato a riprodursi negli anni a venire. L’altro, quella della pulce imprendibile, condannato all’estinzione. Chi scommetterebbe tra dieci anni in un Pallone d’oro alto solo un metro e sessantanove, appena quattro centimetri più di Diego, dotato di una tecnica che non pare figlia della scuola e della volontà, ma di un dono che dà alla finitezza umana la prova, o almeno l’idea, dell’assoluto? 
Godiamoci questi scampoli di un calcio che fu, e ancora è, una sfida senza tempo ai limiti della corporeità, sapendo che potremmo essere gli ultimi spettatori del magnifico spettacolo. Godiamoceli con l’orgoglio di esserci e con la segreta speranza di smentirci, perché magari, da qualche parte del globo, un altro Messi sta per nascere.

 


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