Il braccio, il piede e il contatto

Il braccio, il piede e il contatto© ANSA
Ivan Zazzaroni
3 min

Il braccio. C’è e appartiene - per tradizione stagionale - a Mat De Ligt. Attaccato al corpo?, lontano dal corpo? Per Doveri and his Var non ci sono gli estremi per il rigore, a Lecce per Valeri ci furono (le distanze soggettive) e noi siamo di nuovo qui a chiederci cosa o chi abbia indotto quelli dell’Ifab a imbarbarire una regola che ci farà impazzire per altri mesi.

Il piede. C’è innanzitutto quello e quando lo stesso De Ligt lo mette nel modo giusto e al momento risolve un derby complicato nel quale una Juve normalizzata ha fatto poco gioco, ma ce l’ha messa davvero tutta - impegno, corsa, attenzione: la natura, l’identità prevale sull’idea - per imporsi (con il solito gol di scarto) su un Toro motivatissimo e agguerritissimo e su Sirigu in serata miracolosa.

Anche il contatto c’è. E quando c’è il contatto c’è tutto, un dettaglio la sua intensità. Al punto che i giocatori più scaltri si sono messi d’impegno per trasformare ogni carezza in uno schiaffo, tanto poi al video sembrano tutti ceffoni. C’è il tocco di Orsolini al novantesimo e c’è anche il contatto dell’Inter con la propria realtà, le proprie qualità, i propri limiti. Oltre a quello ravvicinato con la Juve (in classifica) e soprattutto con se stessa. Continua a soffrire, la squadra di Conte, non ruba quasi mai l’occhio, gioca un calcio geometrico e di tensione, ma raccoglie punti. Tanti punti. Non se la prendano gli interisti se dico che questa prima Inter di Conte ha qualcosa di juventino nel modo in cui si dimostra inesorabile, almeno in campionato.

L’Inter si riconosce anche in Lukaku: pesante, fisicamente dominante, a tratti lacerante. E poi è squadra nel senso più completo ed è assistita dalla fortuna. Come Lukaku, è preceduta dai “ma”. Ma non convince, fatica troppo, ma, ma, ma. Ma vince. Così come col Brescia, anche con un Bologna condannato ad andare sempre oltre se stesso non ha meritato i tre punti, sebbene abbia fatto più partita. L’Inter oggi ha quella cosa che il Napoli di Ancelotti ha perduto: la fi ducia, l’ottimismo del gioco.

Ho ascoltato con attenzione l’“avvelenata” di Walter Sabatini: se l’è presa con La Penna, Conte, Lautaro, con il mondo Inter. Ha fatto il dirigente presente anche per coprire le ingenuità dei suoi. Mi auguro per il bene del Bologna che la luce che si è acceso da solo continui a illuminarlo nelle prossime settimane, quando dovrà rinforzare un gruppo che, anche per soddisfare le giustissime richieste (estive!) di Mihajlovic, ha bisogno di tre innesti di qualità superiore.

Forza, Civ.


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