Il segno della crescita

Il segno della crescita© EPA
Ivan Zazzaroni
3 min

Ci sono due Lazio: una a. C. (avanti Claudio) e l’altra d. C. (dopo Claudio). La data del passaggio da un periodo all’altro, dal disperante al fantastico, è il 15 ottobre 2019, giorno in cui il conducator decide che è giunto il momento di cambiare marcia e metodi per fare finalmente prevalere i doveri ai diritti. E non lo tiene per sé: avreste dovuto vedere le espressioni di De Martino, il suo assistente, mentre nei nostri studi Lotito elencava una serie di appunti e acidità nei confronti di Inzaghi e inchiodava la squadra alle proprie responsabilità. E non vi dico Tare la mattina seguente: «Lui non è così, ma quando gli danno un microfono in mano - sussurrò - può succedere di tutto: si trasforma».

A metà ottobre la Lazio era fuori dall’Europa e attendeva l’Atalanta all’Olimpico. Che si presentò per demolirla: al terzo gol subìto in quindici minuti tutti a impalare Lotito, Inzaghi e la squadra. Dopo l’intervallo, la trasformazione: Immobile, Luis Alberto e compagnia hanno tirato fuori (o tre volte dentro) le palle e lo 0-3 è diventato un 3-3. Da lì in avanti solo vittorie: 9 consecutive, tutte con almeno due reti. Al settimo posto a meno dieci dalla Juve si è così sostituito il primato potenziale, con l’aggiunta di una Supercoppa strappata alla Juve. Anche i numeri fanno pensare che la Lazio abbia trovato ciò che le mancava: la fiducia nel gioco, lo spirito di reazione, il rifiuto della resa, una nuova identità insomma, non a caso i successi-chiave li ha ottenuti dopo il novantesimo (Cagliari, Sassuolo, Brescia). Vincere le partite in cui si è giocato male o comunque non meglio dell’avversario è prerogativa delle squadre mature, ed è proprio la personalità ipertrofica mostrata negli ultimi due mesi e mezzo che induce a inserire la Lazio nel terzetto delle candidate al titolo. Del resto 39 punti nelle prime 17 uscite non li aveva fatti neppure nell’anno dell’ultimo scudetto. In odore di record e di svolte “epocali” è anche la Roma: da primato - per insperato recupero di entusiasmo, investimenti e ambizioni - risulta il passaggio dall’anno zero di Pallotta-Fienga all’anno mille di Dan e Ryan Friedkin. Fonseca il traghettatore di un intero mondo dalla disillusione al sogno, compito che sta svolgendo con una fermezza e una quantità di idee che hanno conquistato una tifoseria condannata alle sottrazioni tecniche e emotive. Un incidente grave ma evitabile la sconfitta col Toro (formidabile Sirigu, Belotti assai più vivo di Dzeko). Dico però che per una squadra rifatta per cinque undicesimi la conservazione del posto Champions sarebbe (è) crema. 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Serie A, i migliori video