Una toppa striminzita

Una toppa striminzita© AP
Alessandro Barbano
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Alla fine la decisione più giusta è anche quella che dimostra quanto quella precedentemente assunta fosse la più sbagliata. La bozza d’intesa fatta circolare ieri sera ferma il campionato per far giocare le partite maldestramente rinviate. È una presa d’atto del madornale errore della Lega e insieme il tentativo di metterci in extremis una toppa, che sposta Juve-Inter e altre tre partite a lunedì 9, in modo da sottrarle all’obbligo delle porte chiuse, la cui scadenza è fissata per l’8.

Lo slittamento serve anche a rimarcare la presunta motivazione economica del rinvio, cioè il mancato incasso. Ma, come tutte le toppe ritagliate in fretta, anche questa rischia di risultare troppo striminzita per contenere la falla che il Coronavirus ha aperto nel sistema calcistico e in quello istituzionale. Perché, se il contagio dovesse giustifi care una proroga del divieto al pubblico, la Lega si ritroverebbe di fronte allo stesso dilemma di pochi giorni prima: far giocare Juve-Inter a porte chiuse o piuttosto rinviarla una seconda volta. Poiché la ragionevolezza porta a escludere quest’ultima ipotesi, non resterebbe che fare otto giorni dopo ciò che non si è voluto fare prima. E, soprattutto, ciò che si sarebbe potuto e dovuto prevedere.

Ma il calcio italiano è già di suo un’economia di guerra. Se poi la guerra scoppia per davvero, e quest’epidemia a una guerra inizia a somigliare, le cose si complicano. Perché in un’economia di guerra ciascuno tira acqua dalla sua parte. Se la Juve è stata la prima a giocare con l’emergenza, poi è stata l’Inter a provarci: Marotta avrebbe voluto recuperare la gara con la Samp il 9 marzo e rinviare il derby d’Italia, costringendo i doriani ad anticipare a venerdì 6 la gara con il Verona.

Ciò per dire che in questa Babele ciascuno dei due contendenti ha provato a ritagliarsi un calendario fai da te. E la Lega ha fatto fatica a ricordare a Juve e Inter che esistono almeno altre diciotto squadre e milioni di amanti del calcio, che assistono esterrefatti a questo spettacolo poco edificante. Se poi aggiungi che quei milioni di tifosi sono anche cittadini, a cui viene chiesto di rinunciare a parte della propria libertà per proteggere il bene comune della salute collettiva, allora comprendi facilmente come lo stupore possa diventare disgusto. Per noi che difendiamo l’autonomia dello sport dall’ingerenza dello Stato, sono giornate tristi. 


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