«Ma quale ripresa, ma quale stagione da concludere, io penso all’anno prossimo, solo a quello. La coppa, lo scudetto… Lotito lo vuole, se lo prenda. È convinto di avere una squadra imbattibile, lasciamogli questa idea».
Non starai esagerando?
A Massimo Cellino do del tu da sempre. Siamo quasi coetanei, primo incontro nel ‘94, due anni prima aveva acquistato il Cagliari dai fratelli Orrù. Ho la fortuna e talvolta la disgrazia di volergli bene: ne riconosco tanto i pregi (la dolcezza, sì, dolcezza, la competenza, un’intelligenza insolita, il fortissimo senso dell’amicizia, la straordinaria persuasività) quanto i difetti: è spesso arrogante, scostante, pesante nei giudizi, fin troppo diretto, un uomo a parte e di una risolutezza che stordisce. Ricordo ancora quando, appena uscito dal carcere di Cagliari (il 14 maggio del 2011 gli fu revocato dopo due mesi esatti l’arresto cautelare: era stato accusato, insieme al sindaco e all’assessore allo sport di Quartu, di peculato e falso ideologico, caso stadio Is Arenas), mi chiese di salire sul primo aereo per Cagliari perché aveva bisogno di sfogarsi. Lo raggiunsi al centro sportivo di Assemini, smise di parlare alle tre del mattino, il suo mezzogiorno.
«Ascoltami bene» eccolo. «Ho avuto la febbre per tre giorni e sono in quarantena da undici. Chiuso in casa a Padenghe sul Garda, sono solo. Mia moglie Francesca è bloccata a Cagliari, ho un figlio a Milano, gli altri fuori. Ho visto e sentito cose che non vi potete neppure immaginare. Da Brescia ricevo continuamente notizie, e sono tutte pazzesche, eppure la città sta aff rontando la tragedia con una dignità che imbarazza. Questa gente mi ha strappato il cuore. Ha genitori, parenti, amici, conoscenti che muoiono ogni giorno eppure soffre terribilmente ma in silenzio. Chiede aiuto solo a se stessa. Altri sono i numeri, non quelli ufficiali, altre le dimensioni. Fosse successo da altre parti sarebbe scoppiata la rivoluzione. Ha un solo desiderio, rimettersi al lavoro, ricominciare a vivere. E mi volete parlare di campionato, di scudetto? Non me ne frega un cazzo… Ho paura ad uscire di casa, mi sta venendo la depressione».
Massimo, credimi, ci basta quello che vediamo in tv e leggiamo sui quotidiani.
«C’è molto, molto di più. Non bisogna pensare a quando si ricomincia, ma se si sopravvive. E se parliamo di calcio, tutto deve essere spostato alla prossima stagione. Realismo, signori. Questa è la peste. E poi avete letto o no il comunicato dei tifosi della Lombardia?».
Mi è sfuggito.
«Non vogliono che si riparta. Lo vietano loro, non la federazione. Prima la vita. La vita, cazzo. Ci sono ultrà che portano l’ossigeno agli ospedali, altri che piangono i loro morti, altri ancora intubati. Non si può più giocare quest’anno. Si pensi al prossimo. Qualcuno non si rende ancora conto di quello che sta accadendo, e quel qualcuno è peggio spedel virus. Io non credo ai miracoli, ho smesso di farlo tanto tempo fa. Resettiamo. Quante partite si sono giocate?».
Ventisei.
«La stagione è andata, se qualcuno vuole questo scudetto maledetto se lo prenda pure. Chiuso. Finito. E non parlo così perché il Brescia è ultimo in classifica. Siamo ultimi perché ce lo meritiamo. Io per primo lo merito. Facciano quello che vogliono. Penso a quelli che perderanno il posto di lavoro, a quelli che stanno morendo… Il calcio è un’azienda che occupa tante persone ma è anche in grado di superare la crisi. Semplicissimo: si è bruciato un terzo del campionato, e allora si taglino un terzo dello stipendio ai calciatori, un terzo dei diritti televisivi e un terzo delle tasse. È il modo più facile per aggiustare le cose. La testa delle istituzioni, federazione e lega, deve proiettarsi a settembre, a ottobre, a quando sarà. Ho letto con attenzione quello che ha detto Galliani al tuo giornale e sottoscrivo tutto, Adriano è il migliore, il più lucido. Ma temo che non ci sia più il tempo per contrastare il dissesto in modo strutturato».
Intervista Cellino, la precisazione del Brescia
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