Liberi

Liberi
Ivan Zazzaroni
4 min

Liberi. I calciatori sono liberi di allenarsi e giocare, gli italiani di tornare ad appassionarsi, pur se a distanza. Adesso le condizioni per ripartire ci sono tutte: gli esperti hanno certificato che il protocollo della federcalcio è completo, puntuale, ha i caratteri della sicurezza.
Liberi noi di condividere la prima, soffertissima gioia con chi - come il Corriere dello Sport-Stadio - ha fin dall’inizio lottato contro troppi nemici - alcuni sorprendenti, altri meno - per la ripartenza del campionato. Mi riferisco a Gabriele Gravina, a Paolo Dal Pino, ai club che non li hanno mai abbandonati, alla politica del buonsenso.
Finalmente una buona notizia, ne eravamo a corto da un pezzo. Per tanti, una pillola antidepressiva. Non si tratta di un ritorno alla normalità, traguardo ancora lontanissimo, ma di un segnale di responsabilità e speranza.
Nessun trionfalismo: non è questo il tempo dell’euforia, né di stupide rivincite. Il calcio meritava di essere tenuto in grande considerazione anche in un momento come l’attuale. Complicatissimo. È sufficiente camminare per strada, incrociare mascherine che fino a febbraio erano volti riconoscibili o conosciuti, osservare gente spaventata e consapevole che mantiene le distanze di sicurezza, per rendersi conto che tutto è cambiato, che questa vita è un surrogato. I bar non sono più bar, i ristoranti non sono più ristoranti, le vetrine delle librerie sono piene di titoli sulla pandemia, vuoti i negozi di abbigliamento. Ho perfino visto decine di persone fare la coda per acquistare le cialde per la macchina da caffé. La vita ce la consegnano, adesso, delivery life: siamo passati da io resto a casa perché me lo impone il governo a io resto a casa perché non mi fido e ho paura. Tanti giovani, i più giovani, sono vittime della sindrome della tana.
Per settimane abbiamo ripetuto che la ripartenza del calcio avrebbe avuto anche una funzione consolatoria, la partita come bene di conforto: così è stato per la Germania, al punto che a giugno ripartirà anche il basket. Noi non siamo alla ripresa ufficiale, per quella dobbiamo attendere il 28 maggio, ma da ieri possiamo sperare che il miracolo si compia.
Ai tifosi organizzati che si sono schierati contro il riavvio faccio presente che la Premier terrà chiusi gli stadi per tutto l’anno e che l’Italia la imiterà: non ci sono, né ci saranno nei prossimi mesi, le condizioni per riaprire gli impianti al pubblico. Chi coltiva la passione per tutti gli sport, non solo per il pallone, e ne scrive da sempre non riesce a concepire uno stadio e un palazzetto vuoti. Ma fino a inizio marzo non aveva nemmeno immaginato di finire agli arresti domiciliari, a un’esistenza solo apparentemente smart.
A Vincenzo Spadafora, quello del «di riaprire non se ne parla», ricordo che nessuno ha mai preteso una data nel periodo in cui morivano dalle 400 alle 700 persone al giorno: chi si ingegnava per evitare il blocco definitivo si augurava soltanto che il ministro dello sport lo accompagnasse, lo sostenesse, ne comprendesse le ragioni. Di fronte alla più drammatica delle evidenze, tutti si sarebbero arresi.
A Damiano Tommasi, la delusione di questi mesi, che dice «ci vogliono 4 settimane di allenamento per arrivare alla partita», ricordo che in Bundesliga hanno cominciato ad allenarsi il 6 maggio e il 16 erano in campo per i tre punti. E che Carlo Ancelotti, l’allenatore più vincente di sempre, ripete convinto che per preparare una squadra non servono più di dieci giorni. Oggi, più della recrudescenza del virus, temo i colpi di coda di chi non ha mai smesso di remare contro.
Roberto Baggio un giorno mi disse: «Non metterti mai contro i campioni perché alla fine sono sempre loro a vincere». E il calcio è il campione dei campioni.


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