Serie A, panchine ad effetto Mourinho

Dai dubbi di Conte sull’Inter che verrà alle ambizioni europee di molti tra gli allenatori della nuova generazione. Non basta aver ritrovato lo Special One se il nostro calcio rischia una fuga di cervelli
Ivan Zazzaroni
4 min

La storia del calcio la scrivono i calciatori - e talvolta gli arbitri, purtroppo - ma la firmano gli allenatori. Per questo si parla, e sempre si parlerà, dell’Inter di Herrera e di quelle di Trapattoni, Mancini, Mou e Conte, del Bologna di Bernardini, del Toro di Radice, della Juve di Trap e di quelle di Lippi, Conte e Allegri, del Verona di Bagnoli, della Lazio di Maestrelli e di quella di Eriksson, della Roma di Liedholm e di quella di Capello, del Milan di Sacchi e di quelli di Capello e Ancelotti. Sono rari i casi in cui il campione sovrasta il tecnico. Ne cito un paio: il Cagliari di Riva, i due Napoli di Maradona.

L'importanza dell'allenatore in una squadra

Il pilota è importante quanto la macchina. A volte di più. Se al posto di Conte ci fosse stato un altro, ad esempio, l’Inter non avrebbe vinto lo scudetto (è una convinzione non solo mia). E se sempre Conte avesse allenato questa Juve - non me ne voglia Pirlo, al debutto nella stagione più complicata -, oggi staremmo probabilmente celebrando il decimo di fila. Proprio ieri Ancelotti ha spiegato con semplicità e una chiarezza definitiva i motivi che rendono la Premier superiore a tutti gli altri campionati europei: «La differenza la fa la qualità, in Inghilterra ci sono i migliori giocatori e i migliori allenatori». Amen. Non potendo permetterci - per ragioni fin troppo evidenti ormai - De Bruyne e Van Dijk, Havertz e Pulisic, Mané e Salah, Kanté e Kane, Ruben Dias e Richarlison, abbiamo perciò il dovere di non lasciar scappare i valori più alti e ancora accessibili della “panchineria” italiana, soprattutto ora che Mourinho ha deciso di misurarsi di nuovo con il nostro campionato. Il quadro, al momento, è questo. Parto proprio da Conte: conoscendone i princìpi-guida, temo che possa non accettare di dirigere un’Inter in edizione “super economy run” (Zhang è stato brusco quando ha parlato di tagli, rinunce e riduzione delle spese).

Allegri e Sarri all'estero?

E ancora: il rischio che dopo due anni di disoccupazione, poco sopportabile il secondo, Allegri, sei scudetti e due finali di Champions, possa andare all’estero è concreto. Anche Sarri, che sembrava destinato alla Roma, si sta guardando attorno alla ricerca di un progetto che gli consenta di tornare a fare la cosa che gli riesce meglio: allenare. E come lui Spalletti, considerato uno dei più preparati d’Europa sul piano tattico: se lo chiedete a Pozzo, che in trentacinque anni di Udinese di tecnici ne ha trattati un’infinità e che - per inciso - con Luciano non si lasciò benissimo per via di un accordo disatteso, vi risponderà che il più bravo è Spalletti. Un altro che, pur se sotto contratto, non disdegnerebbe l’esperienza all’estero, poiché alla ricerca di nuovi stimoli e traguardi più ambiziosi, è Mihajlovic, al quale il Bologna di Saputo deve tutto. 

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