Lega, brutta aria attorno al pallone

Lega, brutta aria attorno al pallone© ANSA
Alessandro Barbano
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Tira una brutta aria attorno al pallone. Gli errori arbitrali e qualche partita durata oltre il dovuto hanno rinfocolato la nostalgia dei tempi perduti, quando la tecnologia coincideva con la fantascienza, e restava fuori dal perimetro degli stadi. Di fronte alla crisi del calcio, che è finanziaria ma anche sportiva, sta nascendo il partito antimoderno del «si stava meglio quando si stava peggio». Annovera allenatori, ex calciatori e opinionisti, e suggerisce di riavvolgere il nastro della storia all’indietro, poiché – si pensa e si dice – solo un ritorno alle origini può salvare lo spettacolo. Così l’autorità simbolica dell’arbitro vestito di nero, che decide d’istinto basandosi unicamente sui suoi sensi e sulla sua supposta buona fede, sembra la garanzia di un recupero di verità e di emozioni.

Nel giorno in cui la Lega di serie A punta a farsi rappresentare dal presidente di Confindustria, che dell’innovazione è l’istituzione per antonomasia, pare doveroso dire forte e chiaro che questo ripiegamento verso il passato sarebbe un suicidio. Non esiste uno sport che sia quello che era. Poiché ogni sport evolve insieme con i cambiamenti delle società. E non esiste uno sport che non sia anche e soprattutto tecnica. Non a caso con questa parola si definisce il bagaglio creativo dell’atleta. Il cucchiaio di Totti – o di Panenka, secondo i puristi – è tecnica applicata al gioco, in modo non del tutto diverso dal Var.

Negli ultimi decenni le applicazioni e la cultura della tecnica hanno cambiato profondamente tutti gli sport. L’aumento della spettacolarità è stato la stella polare che ha ispirato le modifiche regolamentari. Così è accaduto nel calcio, quando si è scelto di premiare con tre punti la vittoria, per scoraggiare il pari. Così è stato, ancora, quando si è vietato al portiere di ricevere con le mani il passaggio di un compagno.

La crescente domanda di emozioni impone al calcio di cambiare ancora. La Lega e la Federazione, cioè le istituzioni che lo rappresentano, sono chiamate a rispondere a questa esigenza. Deliberando su ciò che rientra nella loro autonomia decisionale, e promuovendo su scala internazionale le riforme che competono all’Ifab, cioè al board che regola il gioco sul pianeta.

Sono tre le novità indifferibili. La prima riguarda la ristrutturazione della serie A e l’introduzione dei playoff , perché lo spettacolo non ammette più che si giochi per non perdere. La seconda consiste nell’introduzione del challenge, cioè nell’impiego del Var a chiamata da parte degli allenatori. Affinché la tecnologia sia usata, come avviene in molti altri sport, per quello che serve: regolare la competizione tra due squadre, e non il conflitto tra due arbitri. La terza, e più importante di tutte, è il passaggio al tempo effettivo, per azzerare le inaccettabili tattiche dilatorie e la scandalosa simulazione di lunghi infortuni di gioco, che funestano il secondo tempo di molte gare.

Sono tre cambiamenti che quasi tutti gli sport di squadra hanno da tempo fatto propri. Il calcio dovrebbe smetterla di pensare che, se arriva buon ultimo, è perché le altre discipline sono più piccole e meno importanti. Forse è accaduto semplicemente perché stanno avanti. Mettersi in discussione vuol dire capire che per coprire i debiti non basta giocare di più, occorre giocare meglio. In queste ore l’Italia calcistica litiga per imporre in Lega un presidente gradito, grazie al quale difendere piccoli, e talvolta intrasparenti, interessi. Questo miope tatticismo fa da specchio alla retorica che tutto torni come prima, perché l’apologia del calcio che fu è il miglior alibi per non cambiare mai. Anche a costo di affondare.


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