Serie A, l'orgoglio ritrovato in Europa. E nessuna parte battuta

Leggi il commento sulle tre squadre italiane finaliste nelle coppe europee
Serie A, l'orgoglio ritrovato in Europa. E nessuna parte battuta
Alberto Polverosi
5 min

Eravamo i ricconi d’Europa, come oggi lo sono il Manchester City e pochi altri club. Avevamo i migliori giocatori del mondo e da noi crescevano dei veri campioni. Era impossibile, negli anni Ottanta e Novanta, non arrivare in fondo alle tre coppe, la Coppa dei Campioni/Champions League, la Coppa delle Coppe e la Coppa Uefa. L’ultima volta che abbiamo portato tre italiane nelle tre finali è stato nel ‘94: Milan-Barcellona 4-0 ad Atene, Arsenal-Parma 1-0 a Copenaghen, Inter-Salisburgo 1-0 al Prater di Vienna. Champions e Coppa Uefa a Milano, solo il Parma lasciò la Coppa delle Coppe ai londinesi. Nomi sparsi, nomi italiani, in quelle tre finaliste: Maldini, Albertini, Donadoni e Massaro nel Milan; Benarrivo, Minotti, Apolloni, Di Chiara e Zola nel Parma; Zenga, Bergomi e Berti nell’Inter. Poi gli stranieri che all’epoca facevano davvero la differenza, Desailly, Boban e Savicevic, Sensini e Asprilla, Bergkamp e Ruben Sosa. Potevamo scegliere e sceglievamo bene. 

Differenze di organico e monte ingaggi

Trent’anni dopo siamo di nuovo in tre e se si pensa alla differenza del valore dell’organico e del monte ingaggi in due casi su tre c’è da sentirsi male. L’Inter, pur avendo l’organico più forte e completo della Serie A, sul piano economico non può competere col Manchester City di Guardiola che, tanto per dare un’idea, nella semifinale contro il Real Madrid ha fatto entrare solo a fine partita Mahrez, Foden e Alvarez, ovvero gli autori dell’azione e del gol del 4-0. Lo stesso va detto sul conto di Fiorentina e West Ham, la distanza sul piano economico è enorme. Lo è un po’ meno solo fra Roma e Siviglia, ma solo un po’ meno. Se Mourinho arriva in fondo all’Europa League con una squadra piena di cerotti e con un sacco di ragazzini è perché ha un organico ristretto. Undici buoni o buonissimi calciatori e dietro la Primavera più qualche riserva. 

L'Inter sfida in finale di Champions il Manchester City del gigante Haaland

L'orgoglio ritrovato dell'Italia in Europa

Nessuna delle tre italiane parte favorita, ma nessuna delle tre, a inizio stagione, era candidata per la finale. Il City è più forte dell’Inter, il Siviglia soprattutto in quella coppa ha più esperienza della Roma, il West Ham gioca in un campionato più competitivo della Serie A dove gioca la Fiorentina, però nessuna parte battuta. Ci arrivano in modo diverso, chi col gioco (l’Inter ha fatto il primo tempo dell’andata col Milan in modo pazzesco, la Fiorentina per lunghi tratti ha dominato a Basilea), chi con la straordinaria capacità di soffrire (la Roma a Leverkusen). Ci arrivano con allenatori completamente diversi fra loro. Mourinho può trasmettere la sua infinita esperienza internazionale alla squadra (e già l’anno scorso si è visto quanto conta); Inzaghi porta con sé la straordinaria capacità di...coppista (quest’anno si è già preso la Supercoppa, è in finale di Coppa Italia e di Champions); Italiano porta invece un record che condivide con pochi altri colleghi, al primo anno in Europa è arrivato in finale e un altro record che rimanda Firenze indietro di oltre mezzo secolo, due finali nella stessa stagione per i viola sono arrivate la seconda e ultima volta nel 1966. E poi può essere un vantaggio se altrove, in Inghilterra e in Spagna, hanno il piacere e la spocchia di sottovalutare il calcio italiano. Ci salverà l’orgoglio finalmente ritrovato.

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