Intervista a D’Aversa: “Mourinho un fenomeno, sarà bello sfidarlo”

Il tecnico dei salentini, prossimo avversario dei giallorossi: "Volevo lavorare al Sud, devo molto a Capello. E sulle scommesse vi spiego tutto"
Intervista a D’Aversa: “Mourinho un fenomeno, sarà bello sfidarlo”© Getty Images
Roberto Maida
5 min

Una partenza a razzo, poi cinque partite senza vittorie. Il Lecce è in una fase di assestamento tra euforia e attenzione. Ma a +6 sulla zona retrocessione l’aria è ancora salubre.

Roberto D’Aversa, che succede?

«Succede qualcosa di normale e fisiologico. Piano piano la classifica sta facendo emergere i valori del campionato. E i nostri giocatori, che prima erano sconosciuti e magari sottovalutati, adesso vengono studiati dagli avversari».

A un certo punto in città sognavano l’Europa.

«L’entusiasmo è sano, giusto ma a noi serve equilibrio. L’ho detto dopo l’inizio scoppiettante e lo ripeto all’indomani di una sconfitta contro il Torino. Non mi piace perdere, sia chiaro. Ma il nostro obiettivo è sempre stato lo stesso: raggiungere la salvezza».

La squadra ha ancora in testa il focus?

«Completamente. Non ho mai conosciuto un gruppo così dedito al lavoro. Qui c’è gente che dà l’anima in ogni allenamento, a cominciare da Baschirotto che è un esempio di professionalità».

Domenica andate a Roma ad affrontare Mourinho, Lukaku, Dybala.

«Calma. Prima c’è da affrontare il Parma in Coppa Italia. Ci teniamo ad andare avanti».

Parma, un avversario speciale.

«Ho bei ricordi. La prima fase fu straordinaria, con un doppio salto dalla C alla A e due salvezze di fila. Al ritorno non andò altrettanto bene: subentrando non riuscii a evitare la retrocessione. Ma adesso auguro alla città di tornare su».

Torniamo a Mourinho.

«Che vuole che le dica? Un fenomeno. Si può discutere su tutto, tranne che su due elementi: la capacità di raggiungere i risultati e l’abilità nel comunicare. Per me è un onore potermi misurare con lui. Mi è già capitato con la Sampdoria, ora posso farlo con il Lecce».

Nella diatriba tra risultatisti e giochisti, D’Aversa dove si colloca?

«Guardi: tutti gli allenatori vogliono vincere le partite. Però non esiste un solo modo di arrivare a dama. Vince Guardiola e vince Mourinho. L’importante è sapersi adattare alle caratteristiche dell’organico».

Nel calcio esistono le etichette: prima di arrivare a Lecce, lei passava per difensivista.

«Conta saper valorizzare i giocatori. Se hai qualità, puoi essere anche bello. Altrimenti è dura. Comunque le etichette sono fatte per essere staccate».

Alla Sampdoria la sua non è stata un’avventura memorabile.

«Mah, lì a sbagliare forse sono stati altri, non io. Mi hanno esonerato quando ero in linea con gli obiettivi».

Poi è stato un anno e mezzo fermo. Il Lecce è la sua occasione per ripartire?

«Le proposte in verità non sono mancate nel periodo di inattività. Anche in Serie A. Ero io che avevo bisogno di fermarmi dopo decenni di calcio senza mai respirare. Aspettavo la squadra che mi offrisse un progetto interessante». 

Come nasce la scelta del Lecce?

«Per caso ho incontrato il presidente Sticchi Damiani al matrimonio di Graziano Pellè. Il direttore Corvino invece lo conoscevo dai tempi di Casarano. Ho scoperto un gruppo di persone competenti, incluso il direttore Trinchera. Ci siamo piaciuti, io volevo provare un’esperienza al sud dove c’è una passione diversa. Successivamente è arrivata la chiamata ed eccoci qua».

Il Lecce gioca bene, anche se ha il più basso monte ingaggi del campionato. Dov’è l’errore?

«E’ il frutto del lavoro quotidiano. E’ la mentalità di una squadra che affronta ogni avversario con l’idea di metterlo in difficoltà. Certi dati delle prime giornate erano da grande squadra. Ma io amo le squadre che sappiano costruire un calcio offensivo e che si divertano in campo».

Sempre con il 4-3-3?

«Tendenzialmente. Poi puoi ruotare i centrocampisti e passare al 4-2-3-1 ma il tema tattico è simile».

Quale allenatore l’ha ispirata?

«Tanti. A cominciare da Fabio Capello, che ho conosciuto quando ero nella Primavera del Milan. Il suo modo di gestire il gruppo mi è servito molto nella carriera».

Perché ha deciso di allenare?

«Perché mi sentivo allenatore già quando giocavo. Amavo il ruolo del leader».

Il giocatore del Lecce che l’ha sorpresa di più? Risposta automatica: Krstovic.

«Non solo lui. Sul piano tecnico un difensore come Pongracic è una scoperta. Ma posso citare anche Almqvist: quanti giocatori in Serie A sanno correre a 36 all’ora?».

Chiudiamo con le scommesse: cosa ha raccomandato ai suoi ragazzi, essendo stato squalificato da giocatore per sei mesi?

«La mia esperienza personale è stata utile a spiegare. Li ho messi in guardia da certi contatti, certe telefonate. Bisogna stare molto attenti. Detto ciò, non è giusto demonizzare coloro che hanno sbagliato: semmai è doveroso recuperarli».


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