Al Napoli non basta Mazzarri, lo scudetto è una partita tra Inter e Juve

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Alessandro Barbano
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D’accordo, c’era un fallo netto di Lautaro su Lobotka nell’azione del primo gol. E c’era un fallo anch’esso netto di Acerbi su Osimhen ignorato da arbitro e Var. È forse per questo il sonno del Napoli men duro? È forse per questo meno luminosa la gloria dell’Inter? La sconfitta del Maradona ci consegna una verità: la formula del successo è nel calcio un equilibrio instabile che, una volta sovvertito, non è più ricomponibile. Al pari di un composto alchemico, di cui nessuno, neanche il suo cagliostro, conosca nei dettagli l’esatta combinazione. La sconfitta azzurra è un prodigio invertito, come per un capovolgimento della provetta: il fluido che vale l’egemonia, la prolificità, la sicurezza è passato da un polo all’altro. È Inzaghi che comanda, non solo perché vince. Ma perché diverte, domina, garantisce, osa, esalta. E cattura per attrazione anche il favore degli arbitri che, notoriamente, seguono il corso della corrente. Ma le scandalose decisioni di Massa e Marini non assolvono il Napoli. La cui subalternità si tocca nell’inconsistente reazione dopo il gol subito, di rientro dagli spogliatoi.

Mazzarri ha fatto ciò che ha potuto, ma lo sfascio ha inquinato le fondamenta più remote dell’architettura. Sì, il Napoli è tornato umile, cioè consapevole dei suoi limiti, dopo gli improbabili azzardi del francese. Ma il coraggio dov’è? Il coraggio è una lava raggelata che serba il ricordo di fiamma lontana. Nei fraseggi eleganti del primo tempo, sempre a destra perché a sinistra manca un esterno, vedi in controluce ciò che il Napoli è stato, o ciò che il Napoli potrebbe essere, e non è. Ma è solo l’illusione di una memoria dolce, che vorresti eternare e invece racconta il passato. Perché, a ben vedere, il palleggio è sempre più lento, il pressing sempre meno assediante. Se l’Inter raddoppia e spesso triplica la marcatura sui portatori di palla capaci dell’uno contro uno, e cioè su Kvara e Politano, è perché la palla arriva a questi lenta e prevedibile, e nessuno gli corre attorno per suggerire varianti. Nove falli laterali su dieci vengono battuti all’indietro. E lo stesso accade per i passaggi. Di lato, o alle spalle, mai ficcanti in percussione, mai triangolando verso la trequarti. Come fa il georgiano a esprimersi, se riceve i due terzi delle palle mentre arretra con la marcatura alle spalle?

Certo, dall’altra parte c’è il Napoli, cioè l’Inter, scusate il lapsus. Che ha conquistato 35 punti, tre meno di Spalletti alla quattordicesima l’anno scorso. Ha realizzato 33 gol e ne ha presi solo 7. Perché ha il centrocampo più ubiquo, più duttile, più rapido e sincronico del campionato. Con in mezzo il regista che tutti vorrebbero avere: quel Calhanoglu sottovalutato dal Milan, che alla corte di Inzaghi ha imparato a interdire ed è cresciuto come realizzatore.
I due soli punti che dividono l’Inter dalla Juve non bastano a dire che i nerazzurri siano favoriti nella lotta scudetto. Dicono piuttosto che l’estetica nel calcio non fa la classifica. Perché se la facesse, quei due punti dovrebbero essere almeno otto o dieci. E invece c’è da giurare che Inzaghi e Allegri se la batteranno fino a maggio. Al netto di un improbabile recupero del Milan, su cui si scommette a fatica, il verdetto del Maradona certifica che sarà una partita a due.


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