Arbitri, così non Var: il team Rocchi è in difficoltà

Il tecno-aiuto non è stato ancora digerito da molti direttori di gara: diminuito il numero degli errori, ma è aumentata la confusione
Ivan Zazzaroni
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Ivan Zazzaroni

Cos’è cambiato da Juventus-Cagliari del 19 agosto 2017, partita d’esordio in serie A del Var online, a Genoa-Juve di venerdì scorso? Da questi sette anni abbiamo ricevuto un calcio con un minor numero di errori arbitrali rispetto alle stagioni pre-tecnologia? Sì, lo confermano le statistiche. Ed è un calcio più giusto e depurato dalle polemiche? Assolutamente no, tutt’altro: il calcio attuale è diventato addirittura criptico, meno pop, per pochi eletti: ha bisogno di essere sempre spiegato a posteriori dagli specialisti, ex arbitri non sempre intellettualmente liberi, autonomi.

A rendere meno chiaro e fruibile lo sport più seguito dagli italiani è senza dubbio il protocollo che viene corretto con la stessa frequenza con cui si cambiano le mutande. Questa pratica ha reso complicata la comprensione dell’operato degli arbitri: continua peraltro a prevalere la discrezionalità del giudizio e quindi la soggettività. Pensavamo che il Var avrebbe reso più oggettiva la valutazione degli episodi e invece ci ritroviamo con situazioni in cui, di fronte allo stesso intervento, un direttore di gara decide in un modo e il suo collega in un altro, per non parlare dei varisti.

Per Italo Tavolato, esponente del Futurismo italiano, l’oggettività altro non è che soggetti che van d’accordo. E allora, non potendo pretendere l’oggettività assoluta, ci accontenteremmo di quella relativa, gradiremmo pertanto che gli arbitri provassero a dirigere più o meno alla stessa maniera, seguendo un regolamento e princìpi comuni.
L’esperimento portato avanti - suo malgrado? - dal designatore Gianluca Rocchi, mi riferisco a Open Var, la rubrica di Dazn che rivela i dialoghi tra arbitro e varista della settimana precedente, ci sta mostrando qualcosa di surreale. Ho registrato - è solo un esempio - le varie spiegazioni dei tecnici presenti nelle principali trasmissioni sportive, gli ex arbitri Graziano Cesari e Mauro Bergonzi, e per entrambi il tocco di mano di Bani in Genoa-Juve era da punire col rigore. Lunedì sera Rocchi ci ha invece spiegato che non lo era e che era stato “da protocollo” il mancato intervento del Var Fabbri poiché «non si trattava di chiaro ed evidente errore».

Ora, se anche se le valutazioni di tre arbitri divergono significa che siamo arrivati alla frutta candita. Tralascio il discorso su direttori come Massa, considerato tra i migliori in circolazione, per il quale il Var è poco più di un optional. Ma ho trovato, come altri, un filo arrogante la sua designazione per la partita di Marassi dopo quello che era successo a Napoli e Parma. Ovviamente Rocchi ha spiegato che la trattenuta di Lautaro a Lobotka non era fallosa e che l’intervento di Acerbi su Osimhen non prevedeva il rigore.

Torno alla frase sul Var, sperimentato in Italia nel 2016 e utilizzato l’anno dopo, pronunciata domenica sera a Pressing, Italia 1. C’è chi si è scandalizzato del fatto che abbia detto che era stato introdotto anche - e sottolineo anche - per fermare la Juve. Ovvio che non fosse quello il motivo principale, visto che l’impiego dell’occhio elettronico era stato voluto dall’Ifab. Ma nel periodo in questione il presidente federale Tavecchio accelerò i tempi per due ragioni: per un’urgenza di consenso personale e per storicizzare la presidenza, e per aiutare gli arbitri a sbagliare di meno in favore dei potenti o presunti tali, e sappiamo che la Juve è da sempre considerata la più influente. L’urlo di Marassi "ladri! ladri!" indirizzato a una squadra che aveva subìto due torti ne è la conferma.

A proposito del clima di quel periodo e dei luoghi comuni, ricordo quello che scrisse La Repubblica il 19 agosto 2017 sul rigore non assegnato al Cagliari e poi concesso dal Var Valeri: «L’evento si è verificato tra il 37’ e il 39’ del primo tempo, quando l’arbitro non si è accorto che Alex Sandro, nel tentativo di anticipare Cop all’altezza del dischetto, non ha preso la palla ma il piede del croato. Maresca ha concesso l’angolo (l’azione si era conclusa con un tiro di Faragò deviato) e poi ha temporeggiato, nell’attesa che i due addetti al Var, Valeri e Aureliano, riesaminassero l’azione, invitando poi Maresca stesso a rivedere il replay sullo schermo a bordo campo. A quel punto l’arbitro ha mimato il monitor, è corso a guardare la moviola e ha corretto la sua decisione, evitando di prendere un granchio grosso così. Erano trentuno partite che nessuno fischiava un rigore contro la Juve allo Stadium».

PS. Della serie che confusione sarà perché ti amo, da “Open Var” di lunedì 18 dicembre, partita Frosinone-Torino.
(Dopo aver deciso che è rigore, ma che c’è fallo in APP (Attacking Phase Possession, inizio della fase d’attacco) e prima che l’arbitro Massimi arrivi al monitor).
Mauro, operatore Hawk Eye: «Cosa gli faccio vedere prima, Fra?» (Fra sta per Francesco Meraviglia al Var).
Var: «Prima il fallo in APP»
Un urlo: «Prima il rigore!». A intervenire è Andrea Gervasoni dalla sala sulla quale si affacciano le salette Vor. E poi sempre Gervasoni, che è il supervisore Var con funzioni di esclusivo controllo, non di intervento: «e pure la simulazione» (l’Avar Mazzoleni si gira e annuisce).
Var: «E ricordati se hai ammonito per simulazione».
Massimi: «Ho ammonito per proteste, ho ammonito per proteste» (fosse stato per simulazione avrebbe dovuto togliere il giallo).


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