Arabia Saudita, 400 giorni dopo Ronaldo: cosa c'è dietro ai miliardi sul calcio

Dai grandi eventi alle questioni economico-politiche, passando per l'arrivo dei campioni, i mal di pancia e la volontà di raggiungere la Premier League: come si presenta oggi il Paese dove si gioca la Supercoppa Italiana
Arabia Saudita, 400 giorni dopo Ronaldo: cosa c'è dietro ai miliardi sul calcio© Getty Images
Giorgio Marota
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Quattrocento giorni fa il profeta Cristiano ha aperto per primo il varco dorato: oggi quel semidio occidentale è popolare in Arabia come Re Salman e suo figlio Mohammad bin Salman, fautore delle riforme di Vision 2030, il progetto di espansione economica che vede come caposaldo l’intrattenimento. CR7 è andato alla conquista del nuovo mondo, poi s’è voltato indietro e ha chiesto alla vecchia Europa di seguirlo senza timore di perdersi in un deserto da scoprire. «Vedrete, in tre anni questo diventerà il miglior campionato del mondo». In soli 400 giorni lo hanno raggiunto Neymar, Benzema, Kanté, Mané, Fabinho, Mahrez, Koulibaly, Milinkovic-Savic, Brozovic, Firmino e tanti altri, alcuni convinti solo dai milioni e altri attratti pure dalla possibilità di sentire più forte il richiamo della fede, considerata la vicinanza a La Mecca e Medina. 
 

Scosse di assestamento

 
I sauditi hanno già portato via dal vecchio continente alcuni simboli e a stretto giro proveranno a convincerne altri, da Messi a Salah fino al pallone d’oro africano Osimhen, passando per le star della panchina Mourinho e Allegri. Nel frattempo, procede a ritmi spediti la costruzione di centri sportivi e nuovi stadi - il King Fahd Stadium, 60.000 posti, è in ristrutturazione - su terreni aridi e in quartieri decadenti, con la volontà di migliorare un’impiantistica ferma agli anni ‘80. Con le prime scosse di assestamento - Henderson ha rescisso con l’Al-Ettifaq, Gabri Veiga ha chiesto a gran voce la cessione - qualcuno ha iniziato a pensare che, tutto sommato, i soldi non fanno il benessere dell’atleta: il clima, la lingua, la cultura e il livello del campionato sono ostacoli importanti da considerare. 

I soldi del Pif

Il public investment fund finanzia l’Al-Hilal e l’Al-Nassr a Riyad e l’Al-Ahli e l’Al-Ittihad a Gedda, cioè le quattro squadre principali, sovvenzionando le altre 14 tramite il “mercato centralizzato” della Lega (i club segnalano un profilo, le autorità lo valutano e sbloccano i fondi). Questo giochino è costato già 2 miliardi tra cartellini e stipendi e in estate la ruota tornerà a girare. Nel frattempo, gli arabi continuano a importare pure i manager - l’ex ad della Roma, Fienga, oggi lavora all’Al-Nassr - per rinforzare alla base un sistema che ambisce al modello della Premier League. 
 

La svolta economica

Il calcio è uno delle principali asset per cambiare il volto del regno. Che “paga” il prezzo di nuove politiche economiche con la concessione di maggiori diritti per i suoi sudditi. Prima considerazione: il petrolio, risorsa che fino a “Vision 2030” ha assorbito piani e strategie, sta terminando. Seconda: l’Arabia non può più permettersi metà popolazione inattiva. Così alle donne è stato concesso di guidare, lavorare e persino di non indossare più il velo integrale (anche se le leggi non corrono di pari passo con le tradizioni familiari...). Pur mantenendo un potere autocratico e senza contrappesi, Salman e suo figlio hanno aperto il Paese più conservatore del Medio Oriente al turismo come farebbe la linguetta con una scatola di tonno, ospitando eventi di respiro internazionale (Expo 2030, i Mondiali di calcio del 2034 e le Supercoppe) e favorendo partnership sempre più strette con l’Europa e con l’Italia, partner privilegiato. Nelle città oggi spuntano come funghi i fast food, i cinema e i musei, negli stessi luoghi prima battuti a tappeto dalla polizia religiosa che vietava ogni genere di passatempo occidentale. I ricchi sceicchi erano costretti a godersi il bello della vita nei vicini Emirati Arabi. Ora giocano in casa

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