ROMA - Questa l'ultima intervista a Mino Favini, "Uno su 10 mila ce la fa", concessa a Xavier Jacobelli.
Dice che ha perso il conto. Ci sta, se uno passa quarantacinque anni della propria vita a scoprire talenti, molti dei quali finiscono in Nazionale, diventano ricchi, famosi e ingrossano all’infinito una squadra. La sua. Anche se lui non l’allena. La costruisce, a forza di fare e rifare il giro d’Italia, di andare sui campi dei tornei giovanili o di organizzare provini a Zingonia, il suo regno fino a quando, compiuti ottant’anni, ha passato la mano a Maurizio Costanzi, che lo chiama Maestro. Non fatichi a capire perché. Lui si schermisce, avendo sempre preferito essere e non apparire. Lui è Mino Favini, uno dei più grandi, se non il più grande scout del nostro calcio: mica lo chiamano il Mago per caso. Staresti ore a parlare di pallone, avendone di storie da raccontare, in una brianzola giornata uggiosa, attorniato dai due figli, dalla nuora e dalla di lei figlia, studentessa in legge dall’ottimo profitto e non insensibile al richiamo del diritto sportivo. Si chiama Beatrice, è educata e gentile come vuole l’imprinting di famiglia che ha avuto in Paola le sue fondamenta di cemento armato. Paola se n’è andata nel 2014, dopo cinquanta, straordinari anni d’amore con Mino.
COME SCOPRIRE UN TALENTO - Stefano, il primogenito, è stato per anni il massaggiatore delle nazionali giovanili prima di aprire il proprio studio a Coriano, provincia di Rimini, il paese di Marco Simoncelli. «Sono passati sei anni dalla tragedia di Sepang, eppure il ricordo del Sic è sempre più vivo. I suoi genitori sono persone eccezionali: ammiro il loro coraggio e la loro forza d’animo». Simoncelli è scomparso nel 2011, Borgonovo nel 2013. Mino racconta: «Stefano giocava nel Giussano. Era un ragazzino. Il Seregno l’aveva praticamente preso, poi siamo arrivati noi del Como. Stefano aveva una formidabile intelligenza tattica: quando dovevo spiegare uno schema ai compagni, lasciavo sempre lo facesse lui (ho conosciuto Chantal, sua moglie, l’anima della Fondazione Borgonovo: eccezionale). Mi domandi come faccia un osservatore a capire se un giocatore abbia talento? In primis, la tecnica; poi lo spirito di sacrificio; poi l’aspetto atletico. La predisposizione tecnica è fondamentale, quando segui in azione un ragazzo di 11-12-13 anni e vuoi capire se abbia i numeri anche in prospettiva. Su tutto, però, c’è l’educazione. Ho sempre detestato i maleducati». Raccontano che, una volta, al Viareggio, l’Atalanta Primavera avesse nelle proprie fila un bel cannoniere. Ma, nell’intervallo di una partita decisiva, egli mandò a quel paese l’allenatore. E tu mandasti immediatamente a casa il giocatore, anzichè rispedirlo in campo. E’ vero? «E’ vero. A Zingonia abbiamo sempre avuto regole chiare: educazione, rispetto, profitto scolastico, impegno. All’Atalanta usa così».
MORFEO, PIRLO, PRANDELLI - In orbita ne hai lanciati tanti, Mino. Chi è stato il più talentuoso? «Sicuramente Domenico Morfeo. Dava del tu al pallone con disarmante naturalezza. Ma il talento devi coltivarlo giorno per giorno, con il sacrificio, il lavoro, l’allenamento, gli esercizi eseguiti una, dieci, cinquanta volte». Interviene Stefano e fa sbucare Pirlo. «Papà, ti ricordi di quella mattina che mi tirasti giù dal letto dicendomi: andiamo a vedere un ragazzino che ci farà perdere il derby con il Brescia...». Mino sorride: «Il derby l’abbiamo perso, quel ragazzino era Pirlo, era già eccezionale a quindici anni. E, purtroppo, era tesserato per il Brescia». Qual è l’allenatore cresciuto con te che ti ha dato le maggiori soddisfzioni? «Prandelli. Lui è come un figlio. Sin da quando ha cominciato nel settore giovanile, ha avuto fame di imparare, di studiare, di apprendere. Nel 2012, il giorno della finale europea di Kiev con la Spagna, ha voluto che lo raggiungessi in Ucraina. Queste sono cose che non si dimenticano. Al mondale in Brasile non ha avuto fortuna. Ora è all’Al- Nasr Dubai: a Cesare auguro ogni rivincita. Secondo me, ha raccolto meno di quanto meritasse».
DI FRANCESCO, INZAGHI, GASP - Prandelli è un allenatore formatosi nel vivaio. In serie A qual è il tecnico che apprezzi di più? «Sono tre: Semplici, Di Francesco, Simone Inzaghi.Mi piacciono le loro squadre, mi piace come giocano, mi piace che vengano dalla gavetta. Semplici e Inzaghi - Simone, ma ci metto anche Filippo che sta andando benissimo a Venezia - hanno lavorato splendidamente nei settori giovanili; Di Francesco a Sassuolo ha gettato le basi di ciò che sta facendo con la Roma. E guarda che, onestamente, oggi in giro non vedo giocatori fenomeni. Ce n’è uno, ma è argentino e gioca in Spagna. Si chiama Messi. Un altro tecnico che ha lavorato per nove anni in un vivaio, adesso fa sfracelli: è Gasperini. L’ho incontrato un mese fa: è stato molto gentile con me e molto bravo con i miei Caldara, Conti, Kessie, Gagliardini. L’Atalanta è in una botte di ferro con Gasperini. E con Percassi. E’ il presidente ideale: uno che investe quasi 40 milioni di euro in sette anni nel settore giovanile e nel centro sportivo; uno che è cresciuto nel vivaio, ha giocato in prima squadra, ne è diventato il presidente: uno così, è unico. Io gli sono molto riconoscente». Stasera a Stoccolma, si gioca Svezia-Italia, spareggio mondiale atto primo. Spesso, Ventura si lamenta debba arrampicarsi sugli specchi perché ci sono troppi stranieri. E’ un alibi o un’attenuante per giustificare le ultime magre della Nazionale? «E’ la realtà. Ma lo sai che, a volte, seguo il calcio in tv e faccio fatica a capire chi siano alcuni giocatori? Ci sono squadre in campo undici stranieri. Capisco le difficoltà del ct, però, ai Mondiali dobbiamo andarci. I contraccolpi di un’eventale eliminazione sarebbero pesantissimi per tutto il nostro calcio».
LE MAMME SONO TERRIBILI - Eppure, Mino, l’esterofilia non è una malattia soltanto italiana. Guarda l’Inghilterra: la Premier è intasata dai giocatori non inglesi, ma i Tre Leoni, in India sono appena diventati campioni del mondo Under 17, cinque mesi dopo avere conquistato il titolo iridato Under 20 in Corea del Sud. Per non parlare di che cosa sia stata capace la Germania dal 2006 a oggi. E noi? «E noi viviamo un periodo di assestamento. La generazione degli Anni Novanta non è paragonabile all’Under 21 di Vicini, trapiantata da Azeglio nella Nazionale maggiore. Una volta si diceva: uno su mille ce la fa; oggi bisogna dire uno su diecimila. Ci vogliono tempo, lavoro e genitori meno invadenti. Le mamme, poi, sono terribili. Pretendono, litigano, criticano. Sapessi quante ne ho dovuto affrontare, convinte che i loro figli fossero tutti dei Ronaldo incompresi». E come hai fatto a respingerle? «Con la buona educazione e con tanta pazienza. Ma proprio tanta». Allarga le braccia, sorride di nuovo. Mino, perché da grande non hai fatto l’allenatore? «Perché avevo la passione di andare in giro a scoprire buoni giocatori. Qualunque lavoro tu faccia, se non lo fai con passione, non vai da nessuna parte». C’è un giocatore che hai lanciato e, più di altri, è rimasto in contatto con te? «Sì, Matteoli. Gran calciatore e splendida persona. Anche Pazzini non manca di farsi sentire». Hai visto che cosa ha combinato Balotelli nell’ultima partita di Ligue 1? Espulso. «Balotelli ha soltanto 27 anni. Recuperare il tempo perduto dipende da lui. Solo e soltanto da lui. Ma deve sbrigarsi».