Il Bologna, Saputo e la decadenza degli uomini

Il Bologna, Saputo e la decadenza degli uomini© LAPRESSE
Ivan Zazzaroni
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Dovrei parlare di Bologna-Inter, del risultato che non t’aspetti, di una città di nuovo in amore, e invece scrivo di qualcosa, anzi di qualcuno che mi sta a cuore per esprimere una tristezza che prende alla gola, segnalare un comportamento disdicevole e un’ingiustizia che non dovrà compiersi.  

Mi occupo dei miei colori, della squadra per la quale ho tifato fin da piccolo, della curva dalla quale non mi sono mai staccato, la Andrea Costa, ora Bulgarelli. Del Bologna: per me una passione e una costante, per Joey Saputo, Claudio Fenucci, Riccardo Bigon e Marco Di Vaio solo una parentesi imprenditoriale, sportiva, professionale.  

È su Saputo che concentro l’attenzione, sull’uomo che salvò il club dal fallimento e che nelle casse ha messo 200 milioni, prima di imporre l’autogestione. Un presidente che non sa bene cosa vuole ma lo vuole fino in fondo e che tradisce senza tradire.  

Anche nel calcio, un mondo che inghiotte e talvolta maciulla rapporti e reputazioni, devono esserci cose più importanti di una vittoria, della classifica: il rispetto, la gratitudine. L’umanità.  

Nei tre anni in cui Mihajlovic ha evitato con notevole anticipo la retrocessione (tutta la stagione scorsa senza una figura tecnica fondamentale, la prima punta, un Arnautovic) e valorizzando giovani che hanno portato o porteranno milioni (Tomiyasu, Theate, Hickey, Svanberg, Schouten) Saputo non ha mai cercato il confronto diretto con lui, tanto nei momenti felici quanto in quelli complessi: ha delegato o è ricorso a uno o più filtri e a evitabili presenze nelle rarissime occasioni in cui ha incrociato Sinisa a Bologna. Un comportamento anomalo e privo di senso: così facendo, non ha avuto accesso alla verità, si è costruito o gli hanno prospettato delle realtà parallele.  

Sempre nei tre anni, non facendosi mancare neppure quando è entrato per la prima volta in ospedale per affrontare un lungo e terribile calvario, Sinisa ha continuato a mettere tutto se stesso nella squadra: non ho mai dimenticato il suo blitz dalla camera del Sant’Orsola al Bentegodi. Ritrovato un minimo di normalità e serenità, ha formulato richieste tecniche semplici, misurate e a costo ridotto (un nome, Sensi) per vedere di alzare l’asticella, ottenendo sottrazioni di qualità. Solo le aspettative del presidente crescevano in modo esponenziale e nessuno in società si assumeva la responsabilità di tutelare il tecnico. Il quale - di fronte all’evidente indebolimento - per salvare il salvabile si è condannato alla bugia di facciata: «Lotteremo per la parte sinistra della classifica».  

A fine marzo “Sini” è tornato in ospedale per un altro percorso chemioterapico. Secondo voi Saputo, che sulla base di non si sa cosa aveva deciso di cambiare tecnico e ds, ha trovato il tempo per una telefonata anche breve al suo allenatore? O ad Arianna, la moglie, per rappresentarle la sua vicinanza?  

Ecco, da una società così non mi sento più rappresentato. E anche se non interesserà a nessuno, mi tolgo un peso. Il Bologna degli ultimi 3 anni è Mihajlovic, non Saputo. Anche quella piccola parte della tifoseria che pensava che stesse a Bologna solo per il contratto, ha avuto modo di ricredersi.  

Vorrei temperare la delusione, anche la rabbia, buttandola sul benaltrismo, eh sí, con questi nuovi padroni stranieri sono spariti i sentimenti, anche i più semplici, c’è ben altro, in giro… guarda i fondi… Ma questa no, non è una storia come tante, non fa parte della decadenza del calcio da passione a business. Fa semplicemente parte della decadenza degli uomini. 

Oggi il Bologna ha 42 punti, è strasalvo. E ha detto che senza Sinisa non è. Non può essere.


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