Zirkzee esclusivo: "Nel mio Bologna mi sento libero"

L'attaccante olandese nuovo leader dei rossoblù: "Arnautovic è come un fratello, ma quando se n’è andato sono stato felice e gliel'ho detto"
Giorgio Burreddu
11 min

BOLOGNA - «Ascolta, la mia vita è noiosa. Non faccio molto. In campo sono un giocatore creativo. Ma fuori: fuori dal campo vado a casa, vado a fare una passeggiata con il mio cane, torniamo a casa, gioco alla PlayStation, mangio, dormo». The end. Sugli schermi della vita di Joshua Zirkzee la realtà è molto più colorata. Basta guardarlo, questo ragazzo dai capelli arruffati e dal sorriso allungato. Sembra fregarsene, un’alzata di spalle all'intero mondo. Invece è dubbioso, pensieroso, riflessivo, gentile. Dosa le parole. E niente sembra scalfirlo. La sua seconda stagione in Italia è cominciata all’insegna della leadership. Due gol, il peso di un reparto (l'attacco) sul collo. Una manciata di partite è bastata a farlo diventare simbolo di questo Bologna. Lui si accoccola sulla sedia, un’alzata di spalle. Un’altra. «Leader, responsabilità... Hey man, sono solo felice di giocare. E voglio solo giocare al meglio delle mie possibilità. Io simbolo? Non è che non ci creda. È che non c’è un giocatore migliore dell’altro, io credo nella squadra. È questa l’unica cosa importante».

Sartori ha detto che le vengono meglio le cose difficili.
«Penso di aver dato il meglio quando la pressione si è alzata. Ma credo sia normale: le cose difficili mi emozionano di più. Quindi faccio del mio meglio più sulle cose complicate».

Deve essere più egoista vicino alla porta?
«Sì, credo di doverlo essere un po’ di più. Non voglio dire proprio egoista... Mah, uhm, sì è la parola giusta: è qualcosa su cui lavorare. Però il punto è che cerco solo di andare avanti per la mia strada e fare sempre del mio meglio».

Tirare di più è nelle sue corde. Lo ha detto lei.
«Contro l’Inter non credo di aver fatto molti tiri, ma credo che nelle prossime partite cercherò di adattare il mio gioco e di mettermi più in posizione per poter tirare maggiormente. Spero di segnare di più».

Le ha dato fastidio non tirare il rigore a San Siro?
«È stata una sorpresa. E una scelta dell’allenatore. Prima della gara ero il primo della lista per tirare i rigori, per questo sono rimasto sorpreso quando lo ha battuto un altro. L’allenatore mi ha parlato nell'intervallo, e dopo è andato tutto bene. Non c'è nessun problema».

Anche perché dopo ha fatto gol pure lei.
«Non posso lamentarmi. Comunque eravamo in un momento di grande pressione. Il mister non voleva cambiare le routine che abbiamo già sperimentato».

Del problema del gol avete mai parlato?
«Non proprio. Anche perché abbiamo mantenuto un bilancio positivo, senza prendere reti. Quindi l'unica cosa che ci siamo detti è: dobbiamo solo continuare ad andare avanti, avere pazienza e poi l'obiettivo verrà da sé. E poi, naturalmente, Orsonaldo ha segnato tre gol».

Le piace avere responsabilità?
«Tutti le abbiamo in questa squadra. Io ho quelle dell’attaccante. Quindi il mio compito è segnare gol, aiutare la squadra. La sto gestendo abbastanza bene, devo solo continuare».

Che rapporto ha con Thiago Motta?
«Credo sia giusto dire che è meglio dell'anno scorso. Ma, a dire il vero, non è che parliamo molto in privato, perché abbiamo lo stesso problema linguistico. Lui parla in italiano, io in inglese. Quindi è difficile. Ma come giocatore di football capisci il linguaggio del football. Quindi è di questo che dobbiamo parlare: io e l'allenatore siamo sulla stessa linea, credo di sapere esattamente cosa vuole».

E cosa vuole?
«Credo che sappia che sto facendo del mio meglio in ogni partita per dargli e per mostrargli quello che vuole. Quindi il nostro è un buon rapporto. Non è una relazione spettacolare, ma è buona».

L’anno scorso si è sentito ai margini?
«Sì, a volte lo sono stato. Ma non sono la persona più facile da trattare per un allenatore. Ci sono stati momenti in cui ha dovuto tirarmi per le orecchie. Sì, l'ultima stagione è stata difficile per me perché non ho giocato molto. E mentalmente è stata una sfida. E, a volte, doveva essere lui l'allenatore, doveva dimostrare di esserlo. Quest'anno va meglio perché sto giocando».

Cosa è cambiato davvero?
«Credo di avergli dimostrato più dell'anno scorso, di avergli fatto capire che voglio giocare davvero. Quindi, alla fine, dipende sempre da me».

Le dava fastidio quando la punzecchiava sui giornali?
«Non so, ma non seguo la stampa. Quindi cosa ha detto non lo so. Non ascolto».

Non le piace l’aspetto mediatico?
«Non mi interessa».

La vita da calciatore fa per lei?
«È l'unica che conosco. In Olanda è diverso perché ho più persone da visitare, e tutto il resto. Ma non sono il tipo di persona che va in giro, non mi piace andare in città, sedermi da qualche parte a bere un caffè o qualcosa del genere. Non mi piace affatto. Preferisco andare in un parco dove c'è silenzio e rilassarmi».

Se non avesse fatto il calciatore cosa avrebbe fatto?
«Non ne ho idea. Il calcio è l’unica cosa che esiste per me. Probabilmente la mia vita sarebbe andata molto male. Perché non ero bravo a scuola e vivevo con gli amici sbagliati. Non si può dire cosa sarei stato se non fossi stato un giocatore di calcio».

Cosa intende?
«Sono cresciuto a Rotterdam. Sai... Ho amici, buoni amici. Solo che a volte l’ambiente non va bene, tutto qui».

E l’ambiente a Bologna com’è?
«Lo spogliatoio va alla grande. Tutti vogliamo lavorare per arrivare agli stessi obiettivi».

Li avete fissati?
«Penso questo: abbiamo molta qualità. Forse anche più dell'anno scorso. Dobbiamo ancora fare dei passi avanti, dobbiamo ancora crescere. Tutti noi vogliamo solo arrivare il più in alto possibile. E finora, voglio dire, abbiamo perso solo una partita, quindi si vede. Perciò chi lo sa quale obiettivo arriveremo a conquistare?».

La mentalità è quella di non accontentarsi.
«C’è una grande mentalità nella squadra, che è quella di arrivare il più in alto possibile. Ma non vogliamo nemmeno dire che punteremo al quinto posto perché non è il nostro modo di lavorare. Vogliamo solo arrivare il più in alto possibile e dare il meglio di noi».

A livello personale ha fissato degli obiettivi? Tipo: la mitica doppia cifra. In Italia se ne parla sempre.
«Non lo so. Se non segno più di dieci gol e non mi mostro molto bravo ha senso? Cosa può voler dire? La cosa importante è rimanere in forma e in salute, tutto il resto verrà da sé».

Magari arriveranno un gol e tre punti con il Frosinone.
«So solo che sono molto forti dal punto di vista difensivo. Ma siamo molto forti anche noi dal punto di vista difensivo. Quindi sarà una partita interessante. E poi giochiamo in casa».

Cosa prova quando segna un gol?
«Posso descriverlo, ma penso che - uh, oh, uhm - è una cosa tipo boom, un’esplosione, la sensazione più bella del mondo. Beh, per me è così».

Di Vaio ha detto che lei è un Arnautovic con dieci anni in meno.
«È un complimento molto, molto bello».

Arna è stato un modello per lei?
«Marko è come un fratello maggiore. È facile parlare con lui. Ma io, come persona, non sono mai andato da qualcuno a chiedergli come si fa questo, come si fa quello. Preferisco guardare e farlo a modo mio. L'ho sempre detto e lo dirò sempre. Quindi ci sono stati dei momenti in cui mi hanno dato dei consigli. Personalmente non chiedo mai niente a nessuno».

Che consigli le ha dato?
«Non uno specifico. Magari una frase prima della partita: "Ehi, con lui puoi fare questo, con lui quest'altro” ad esempio, cose del genere».

È una fortuna che sia andato all’Inter?
«Marko è un buon amico, ma quando se n’è andato sono stato felice. Già. Devo essere sincero. So che Marko lo sa. Gliel'ho detto io stesso, perché per me è chiaro che ora ho maggiori possibilità di giocare. Se Marko fosse qui sarebbe molto più difficile per me. Dopo il gol contro il Cagliari mi ha chiamato: era così felice».

Chi voleva essere?
«Da bambino ho sempre voluto essere Ronaldinho. Crescendo, credo di avere più le caratteristiche di Ibra. Voglio dire, lui è ovviamente di un altro livello, ma a causa della mia stazza e di tutto il resto, ci sono state persone che hanno detto che sono un po' una versione di Ibrah imovic. Quindi: ci sono tante buone ispirazioni».

E Lewandowski? Con lui ha giocato al Bayern.
«Non è che abbiamo parlato molto ogni giorno. Ho avuto il privilegio di osservarlo. Ho avuto il privilegio di lavorare con Klose per un anno. Ma questo è quanto».

È pronto per la Nazionale?
«Lo spero. Scherzo sempre con i miei amici dicendo che se mi prendono in nazionale posso praticamente smettere con il calcio perché ho fatto parte di una squadra che ha vinto il triplete, il Bayern, e ho giocato per la mia nazionale. Da bambino questa era l'unica cosa che sognavo. Quindi, se questo accade, non c'è nulla che possa andare di nuovo storto nella mia vita. Ho finito».

Che rapporto ha con l’Italia?
«A Parma fu un periodo sfortunato. Personalmente però mi sono divertito. Qui a Bologna in un anno ho avuto molti alti e bassi, molte cose. Ma ora, quest'anno, mi sento molto bene mentalmente. Sono felice».

È vero che ti piace il basket?
«Sì, molto. Mi hanno detto che Bologna è Basket City, l’ho sentito dire spesso. Al palazzetto, però, non ci sono mai stato. Sto aspettando un invito. Ma solo per fare da spettatore».

Cosa non le piace di Bologna?
«Non mi piace quando si va in città con la macchina. Ogni volta devo pagare parcheggio. In Olanda è diverso. Quello che mi piace è che il cibo è molto buono. Molto, molto buono. Amo le tagliatelle al ragù più dei tortellini nell’acqua («Non nell’acqua - interviene l’ufficio stampa -, in brodo». «Oh, sì. Ma preferisco quelli alla crema», dice lui, ndr). Ci sono molti negozi per fare shopping. E poi le persone sono gentili, molto educate. E il tifo è davvero fantastico».


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