Bologna, Orsolini esclusivo: "Il gol alla Fiorentina? Ho sentito la spinta dei tifosi"

Intervista al 27enne attaccante, ormai un veterano del Bologna di Thiago Motta che sogna l'Europa: cos'ha detto
Claudio Beneforti e Giorgio Burreddu
10 min

«Ho visto vecchietti piangere e bambini piangere insieme ai vecchietti. Ho visto giovani con le mani in testa e gente con la lacrima che scende. E ho visto gente con le parrucche alla Zirkzee in testa. Ho visto persone che si abbracciavano, quell’abbraccio vero, sentito, sincero. Io ‘ste cose qua non me le ricordavo. Vogliamo che questo incanto non finisca più». Ne ha viste di cose, Riccardo Orsolini. Succedono da quando il Bologna è diventato bello e infinito. Orsolini mentre parla gesticola. Il suo diventa un canto antico: si tira su, la schiena dritta, le mani mulinano nell’aria; è talmente coinvolgente che si percepisce il brusio, poi il rumore e infine il boato del Dall’Ara. «È una cosa strana da spiegare a parole. Siamo diventati un tutt’uno con venticinquemila persone, mentre giochi vedi e senti la gente e dici “no, io non posso sbagliare, non posso deludere questa gente qui”. È una partecipazione totale». Questa forma magica non ha incantato solo il popolo rossoblù, il calcio di Thiago Motta ha stregato eretici e scettici. Orsolini lo sa: «Penso che prima di tutto noi ci vogliamo divertire e far divertire. Proponendo un calcio spumeggiante. In questo momento in Italia siamo una di quelle squadre che a mio avviso produce uno dei migliori giochi della Serie A».

Dunque stasera tutto facile con il Verona?
«No, anzi è anche complicata. Perché il Verona è una squadra che ha fame di punti, una squadra che si deve salvare a tutti i costi quindi deve macinare da qua a fine campionato. Vuole venire a rovinare quello che è il clima che si è creato qua. Dobbiamo essere bravi a non far succedere questa cosa».

Anche lei come Motta pensa partita per partita?
«Per forza, chi pensa a lungo termine sbaglia. In questo momento dell'anno purtroppo non si possono fare piani futuri. Questo non è il momento».

Questa è una squadra da Champions?
(lungo silenzio, occhi sbarrati) «Ditemi uno che all’inizio dell’anno avrebbe detto questa frase. Non c’è».

Però i fatti lo stanno dimostrando.
«Dire non siamo da Europa o sì siamo da Europa mi sembra un po’ riduttivo. Godiamoci quello che c’è, poi vediamo dove possiamo arrivare. C'è un bellissimo entusiasmo, una bella sinergia tra la squadra, la piazza, tutto l'ambiente. È uno dei pochi anni senza frizioni, senza malumori, senza problemi. Quando si vive sereni e tranquilli non cerchiamo complicazioni. Al di là di tutto, però, viviamo il momento. Tutti, eh. Squadra, tifosi. Ma quanto è stata bella la coreografia coi telefonini? Sembrava il concerto dei Coldplay».

È stata spontanea.
«Questo ti fa capire che anche uno solo può trascinare tutti. Sono d'accordo quando il mister dice che è giusto che la gente sogni l'Europa, ma la squadra è un'altra cosa. La squadra deve pensare a lavorare».

Su cosa focalizzate l’attenzione?
«Sulle partite, sull’adesso. È un passaggio sottile, ma ti fa capire tante cose, su come ragioniamo noi perché adesso sarebbe troppo facile dire: ok, siamo quarti, montiamoci la testa. Una cosa del genere ti fa andare giù a picco. Perdi tre partite e stai a picco. Lo sapete, eh?».

Allora qual è l’obiettivo?
«Tutti remiamo dalla stessa parte, ma l'obiettivo non è l'Europa: l'obiettivo è far vedere a tutti che noi siamo una squadra di calcio che gioca a calcio. Quello è l'obiettivo. Perché l'Europa, se sarà, sarà solo una conseguenza».

Gasp dice che il Bologna è la squadra che può fare concorrenza all’Atalanta.
«Per loro l'obiettivo Europa è ormai una realtà da cinque, sei anni. Se lo ha detto forse lo pensa davvero. Thiago Motta è un suo allievo, quindi magari lo conosce meglio di noi».

Centrare l’Europa può avvicinarvi al modello Atalanta?
«Noi stiamo cercando di fare quello scatto lì. Serve quello: uno scatto, una scintilla. E rimanerci, altrimenti è un fuoco di paglia. Una volta che parti poi secondo me, cambieranno tante cose, tante dinamiche, avremo consapevolezze diverse. Entreranno in gioco altri fattori, sicuramente. Io lo so com’è: ho vinto un girone di Europa League con l'Atalanta. Primi. Vi lascio immaginare l'entusiasmo quando siamo arrivati davanti a Everton e Lione. C’era un bel clima. Ecco, da lì l'Atalanta è partita».

Lei è qui da molto, pensa sia arrivata l’ora?
«Io posso permettermi di dire che ho visto il Bologna in tutte le salse. Anni quantomeno strani, senza reali obiettivi. Anni belli, anni difficili. L'anno più bello fino ad ora è stato il primo di Sinisa, con l'acqua alla gola e poi quella cavalcata incredibile fino ad arrivare addirittura decimi. Quella è stata una rinascita. Sono contento che finalmente quest'anno ci sia stata questa svolta, ma attenzione non stiamo vivendo un sogno: è la realtà fatta di lavoro e sacrificio».

Lei è voluto restare: se la sentiva?
«Prima o poi deve succedere questa cosa. E che cavolo, mi sono detto, speriamo che questo sia l'anno buono. Per il momento è così».

Ci vuole anche il fattore fortuna.
«Quello te lo devi anche un po’ creare. Se proponi un bel calcio, propositivo, così come stiamo facendo noi, il fattore “c” può venire dalla tua bravura».

Saputo in tutto questo quanto incide?
«Avere il presidente qua, che viene in campo, festeggia con noi, che ci aspetta nel tunnel: quanto è bello? Per noi è importante. Vedo i video dove si abbraccia col mister a fine partita, saltano di gioia insieme. È bellissimo».

Da lei Motta cosa vuole?
«Per noi esterni ci sono due o tre cose davvero imprescindibili. Lui si accorge di tutto. È proprio una ricerca maniacale della perfezione. Ma il mister ha gli occhi ovunque: magari sta guardando da un’altra parte, ma ti ha già visto».

Gli avete chiesto di restare?
«Vedete: voi guardate già al dopo. Non è un problema di adesso, e comunque non lo posso dire io. È una cosa che va oltre la mia sfera calcistica».

La spaventa il fatto che possano recuperare da dietro o che il Bologna faccia fatica a continuare?
«Non lo so, è da novembre che non guardo la classifica. È la verità. Non perché non mi interessi, ma sono focalizzato, anzi siamo focalizzati sul Verona, sulla prossima. Io non so nemmeno quante giornate mancano alla fine. Se mi chiedi quante partite mancano io ti dico boh: quattordici?, quindici?, non lo so».

E quando guarderà la classifica?
«Nelle ultime quattro, cinque giornate. Ripassate tra due mesi e ve lo dico».

Chi arriverà prima a dieci gol: lei o Zirkzee?
«Non importa, la cosa che conta è segnare il più possibile».

Dov’è cresciuto il Bologna?
«Non lo so, ma certe volte, quando sono in campo, mentre corro, e sono un po’ isolato e vedo fare le uscite dal basso mi dico: “Oh, siamo forti. E belli, pure”. La cosa stupenda è che ci assumiamo le responsabilità. A volte sembra che usciamo con il brivido. Ma da dove nasce l’errore?».

Da dove?
«Perché tu vuoi giocare, e al mister questo va bene. Quando fai l'errore ti dice: la prossima di nuovo, fallo ancora, la palla non si butta. I nostri portieri qualche anno fa erano insicuri di giocare, appena avevano la palla la buttavano via. Adesso succede una volta su quindici. Possiamo sempre giocare».

Che pensa dell’alternanza Skorupski-Ravaglia?
«Non lo so, ma abbiamo due grandi portieri. Federico io l’ho visto crescere, quando sono arrivato era un ragazzino di manco diciotto anni. Si sta meritando tutto. Lukasz è stato sempre una certezza tra i pali. Ultimamente è migliorato tantissimo coi piedi. Il primo anno non era così forte coi piedi».

Arriva Castro, in attacco la concorrenza è tanta o va bene?
«A livello numerico siamo tanti, chiunque gioca fa bene e con la concorrenza sana si alza il livello. Però se vuoi giocare devi far meglio dell'altro perché sennò non giochi. Sia che ti chiami Orsolini, Calafiori o Ferguson».

Lei si è arrabbiato quando è finito in panchina?
«No, sarà che sono invecchiato, ma comincio ad essere più riflessivo. Mi dico: “Io, di queste situazioni, quante ne ho vissute?”. Ci ho fatto il callo. Se prima mettevo il 101% in allenamento, adesso ci devo mettere il 110. A Motta piace il cambiamento che vede in te, quella corsa in più, quel contrasto in più. Cioè lui vuole undici animali in campo».

Perché?
«Forse è una cosa per stimolare. Non la chiamo provocazione. È tipo: ah sì, hai fatto gol? Adesso voglio vedere come reagisci se ti metto in panchina. Fammi vedere se sei uomo, se sei un giocatore vero. Io fortunatamente credo di averlo capito e cerco di dimostrare il più possibile. Negli altri anni non mi ero mai allenato così forte. Mi sono pure stirato una volta...».

Giocare al Dall’Ara o fuori è diverso?
«Abbiamo sempre cercato di imporre il nostro gioco, e ci proveremo anche contro il Verona. Però è chiaro che in casa c'è un'atmosfera diversa. Prendi il lancio di Ferguson sul mio gol alla Fiorentina. Io sono stato accompagnato in area da loro. Le gambe andavano da sole, non ci sono andato da solo. Quel gol l’abbiamo fatto tutti e venticinquemila».


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