Angelozzi esclusivo: "Vi racconto il laboratorio Frosinone"

Il direttore dell'area tecnica racconta il modello del club gialloazzurro che vive la sua favola: 7° posto e l'Europa a un passo
Angelozzi esclusivo: "Vi racconto il laboratorio Frosinone"© Bartoletti
Fabio Massimo Splendore
7 min

Metti l’idea di calcio sostenibile che Maurizio Stirpe predica da un po’, affidala ad un capo dell’area tecnica come Guido Angelozzi e ad un allenatore come Eusebio Di Francesco. E così può capitarti di svegliarti una mattina e scoprirti settimo in classifica, a ridosso dell’Europa, con Monza e Lecce. Poi ti fai un giro dentro il continente del grande calcio, passi in rassegna le altre della classe che galleggiano tra il settimo e l’ottavo posto. E scopri che tra queste il West Ham e il Newcastle in Premier hanno speso 137,5 e 153,2 milioni per fare la squadra, l’OM e il Rennes in Ligue 1 ne hanno messi sul piatto rispettivamente 72 e 57,9, il Wolfsburg in Bundesliga ne hanno investiti 72,5 e il Betis nella Liga si è fermato a 9,5. E poi c’è il Frosinone, settimo anche lui, ma con meno di 2 milioni di esborso sul mercato (1,7 compresi prestiti e riscatti). Il Monza e il Lecce, a parimerito con i ciociari, hanno avuto altri budget. E allora scopri che il calcio sostenibile di Maurizio Stirpe si può provare a fare. Il modo ce lo spiega Guido Angelozzi, il capo dell’area tecnica gialloazzurra, arrivato esattamente tre anni fa in Ciociaria e protagonista della terza promozione in A della storia del club.

Tra lei e Stirpe sarebbe dovuta cominciare vent’anni fa. Come finì?
«Il presidente entrava con la sua cordata in C2, era il 2003: chiese consiglio a Fuzio, suo amico che mi aveva avuto da presidente dell’Andria. Andai a parlare, tutto procedeva, sarei sceso di categoria. Io lavoravo con Gaucci a Perugia all’epoca, gestivo un po’ di Sambenedettese e un po’ di Catania. Sembrava tutto fatto, aveva conosciuto anche Benito, il papà di Maurizio Stirpe. Alla fine Gaucci non mi liberò più. Mi spedì a Catania, casa mia, in serie B. Come potevo dire no?».

Poi arriva l’ottobre del 2020. E che succede?
«Che Stirpe, con cui il rapporto era in qualche modo rimasto, mi chiama e mi dice: “stavolta non prendi impegni e a fine stagione vieni da me”. Avevo chiuso da poco con lo Spezia, dissi va bene. Mi richiamò dopo un mese per anticipare tutto. Ed eccomi qui».

Spezia promosso in A. Perché finì?
«Non potevo più decidere in autonomia come avevo chiesto a Volpi, che me lo aveva promesso. Fine dei giochi».

Però allo Spezia lasciò un regalino... Italiano.
«Italiano me lo segnalò il mio osservatore di Trapani, andai a vederlo con il Piacenza, mi piacevano le sue idee di calcio. E lo presi. Bravissimo sul campo, ora gli è rimasto di misurarsi con una grande: lì conta tanto la gestione, sarà il suo banco di prova».

Dopo Italiano, Grosso. Cosa le piace di un allenatore?
«L’idea di calcio che deve contenere quell’impronta in cui c’è l’intenzione di giocarsela sempre, non subire. Anche Fabio è così. Poi ha scelto di fermarsi. E ora è a Lione».

Stirpe ci è rimasto male.
«Come succede se ti lascia una compagna, una moglie. Ma il primo messaggio quando Fabio è andato al Lione glielo ha mandato il presidente. Grosso è stato un anello di questo processo di crescita. A lui va il nostro grazie sempre».

Come nasce l’idea Di Francesco a Frosinone?
«Io dubbi non ne ho avuti mai. E vi svelo un mezzo segreto. Con Eusebio avevo fatto tutto e ho detto al presidente: “organizza una cena e ti porto l’allenatore che vorrei”. Stirpe la sera ha fatto aprire un ristorante stellato di Acuto, a metà incontro DiFra si è alzato per andare in bagno e il presidente mi fa: “hai ragione, è il nostro allenatore”. Per fortuna, perché io lo avevo preso già e avrei dovuto stracciare tutto».

Cosa vi accomuna?
«Coraggio e lavoro, le qualità che appartengono innanzitutto al presidente. Stiamo creando un laboratorio, patrimonializzando i cartellini, costruendo calciatori, lanciando e rilanciando allenatori. Eusebio è un maestro di calcio, i giovani che lavorano con lui devono seguirlo innantitutto negli atteggiamenti. Insieme al Sassuolo abbiamo lanciato Scamacca, Politano, Pellegrini, abbiamo battuto Stella Rossa e Athletic Bilbao in Europa. Se la gente segue questa idea ci divertiremo. E la nostra gente ha una passione enorme».

Il calcio è algoritmi o idee?
«Se non hai grandi risorse servono idee e una squadra di scout che funziona. Io ho quattro che girano il mondo. Poi arrivano supporti nuovi, le statistiche, ad esempio. Ora ogni tanto le guardo, possono essere utili. Ma Nzola allo Spezia l’ho voluto anche se qualcuno mi diceva che le statistiche non erano tutte favorevoli».

Oyono lo ha preso con le statistiche?
«Macché. Mi chiamano i miei scout dalla Coppa d’Africa, ci serviva un terzino destro. Lo vedo in video e confermo: mi piace, molto. Andiamo a cercare il club e non lo troviamo. Fino a che scendendo scendendo, non arriviamo al Boulogne, nella C francese. Potevamo pensare che un ragazzo che fa la Coppa d’Africa giocasse in C? Tramite un agente amico, Fabrizio Ferrari, raggiungiamo la famiglia e si fa tutto».

Costo, poche centinaia di migliaia di euro. Oggi Oyono vale...
«Se continua così non si può vendere a meno di 7-8 milioni, oggi. E vi dico che in club come Fiorentina, Bologna, Sassuolo, potrebbe già giocare. Ma ha margini per essere da top club».

E Turati?
«Rispondo che per fortuna nostra non è ancora il titolare del Sassuolo. Penso che i portieri italiani forti siano tre: Donnarumma, Vicario e Turati».

Giocatori di proprietà e talenti come Soulé, in prestito. Non sembra di lavorare gratis per altri (la Juve?)
«Sembra, forse lo è, ma o è così o Soulé non lo prende il Frosinone. Perché costa 15 milioni, perché il manager è un mio amico e mi parla di cessione a titolo definitivo, di Feyenoord, Siviglia, top club italiani. Poi Giuntoli e Manna mi dicono “se resta viene da te”. E io aspetto, perché Eusebio vuole un Berardi mancino che viene dentro e il giocatore è lui. Sapete cosa lo ha convinto? La vittoria sull’Atalanta. Ha tempestato di whatsapp Barrenechea dicendogli “giocate bene, costruite dal basso, io domani vengo lì”. Ed è arrivato: vero che è in prestito secco, ma il suo talento fa crescere chi è qui».

Cosa è il Frosinone? Cosa sarà?
«Un grande laboratorio, stile Sassuolo, che oggi è già altro. Meglio ancora, Empoli. Ora bisognerà lavorare sul settore giovanile, costruire tanto anche lì. Verranno implementate le strutture, Fiuggi è pronta. Stirpe ogni sera a mezzanotte chiama. E vuole sapere. Poi mi lascia fare: Gatti dalla C, Boloca dai dilettanti, Gelli fuori rosa all’Albinoleffe. “Guido sei incosciente” mi dice sorridendo. Ma se qualcosa non gli va a genio te lo dice eccome. A Frosinone dovranno fargli una statua».

Perché?
«Il calcio è idee, organizzazione e coraggio. Qui c’è tutto questo grazie ad un imprenditore che considera il club la sua creatura. Ho lavorato con le grandi famiglie italiane del calcio: Gaucci, Semeraro, Matarrese, Squinzi. Quella di Stirpe è un’altra grande dinastia. Fidatevi».


© RIPRODUZIONE RISERVATA