La recita di Lucio

La recita di Lucio© Inter via Getty Images
Alessandro Barbano
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Contrordine compagni, «Icardi per noi vale più di Messi e Ronaldo insieme». La retromarcia di Luciano Spalletti è a centottanta gradi, e dimostra quanto un certo orgoglio virile possa esporti a una resa incondizionata. Anche nel calcio. Soprattutto nel calcio, che sta cambiando, per chi voglia rendersene conto. La conferenza stampa del tecnico nerazzurro è la fotocopia, sovrapposta in senso contrario, dello sfogo di quarantott’ore prima in tv, a caldo della bruciante sconfitta con la Lazio. Così «Icardi è un giocatore quasi nuovo, che va reinserito perché oggi non può aiutarci» diventa «Icardi è un giocatore riconquistato, che può trascinare la squadra». E ancora: «Icardi deve restare fuori per come si è comportato» si volta in «Icardi è titolare, ha avuto la reazione giusta».

Che il ritrovato realismo di Spalletti coincida con un ripensamento sincero c’è da dubitare. Tanto radicale è il dietrofront. Né pare convincente l’ammissione che il tecnico fa, quando dice che «da questa situazione usciamo tutti sconfitti». Però almeno su questo punto non ha torto. Perché la sua correzione di rotta non ripristina ciò che è irrimediabilmente cambiato. Non a caso l’appello, che fa ai tifosi a «capire quali sono i segnali corretti», cade nel vuoto. Perché i segnali sono stati troppi e divergenti. Così, mentre lui si produce in questa mesta giravolta, tutti i gruppi della Curva Nord fanno circolare un comunicato il cui titolo parla da solo: «Avanti con gli interisti, Icardi vattene».

Niente sarà più come prima. Nonostante Marotta da due giorni sparga cloroformio in tutte le occasioni che ha. Nonostante il terzo posto sia, a nove turni dal termine, un’ipoteca sulla Champions parzialmente rassicurante. Nonostante, da ultimo, Icardi stesso e i suoi compagni abbiano tutto l’interesse a salvare la stagione per non trasformarsi in gioielli deprezzati e non richiesti.

Ma la frattura è stata profonda ed esemplare. È cresciuta come una crepa in un muro portante, cui non si pone rimedio. O si pone il rimedio sbagliato. Quello di pretendere da Icardi ciò che Icardi non può concedere. Le scuse. Così il rifiuto del cannoniere argentino ha smontato la più classica strategia di risoluzione dei conflitti a cui il calcio ci aveva abituato: quella che si fonda sulla confessione pubblica di colpa, seguita da pentimento, punizione e perdono. Una soluzione quasi teocratica, che Spalletti ha sposato con la stessa rigidità con cui aveva preteso di trattare Totti come un attempato fantasista in disarmo. Anche stavolta lo schema non ha funzionato. Perché anche stavolta il tecnico voleva l’impossibile: che Icardi sconfessasse non se stesso, facendo gesto di contrizione nel chiuso dello spogliatoio, ma la sua audace moglie, madre dei suoi figli e procuratrice delegata a rappresentarlo in ogni discorso che non si scriva con il pallone. Non ha tenuto conto, Spalletti, che è stata Wanda e non Maurito a offendere i compagni, quando ha “osato” dire in tv: «Tra il rinnovo del contratto e l’arrivo di uno che gli mette cinque palloni buoni, forse preferisco che Mauro abbia un aiuto in più».

Una logica un po’ agée ha guidato le mosse dell’allenatore, infiammando lo spogliatoio e la piazza: quella per cui un campione risponde di sé e di tutto ciò che gli sta attorno, soprattutto se quell’ingombrante arredo umano è una donna pensante e parlante. Non ha tenuto conto, Spalletti, che Maurito e Wanda avevano già sfidato ben altre convenzioni, quando hanno deciso di fare del loro incontro un sodalizio inossidabile. Come due eroi bohémien, pescati da un melodramma pucciniano: lui Des Grieux, studente rapito dalla passione, lei Manon, amante coraggiosa fino al supplizio. Il futuro dell’Inter in campionato coincide con la loro sfida contro tutto e tutti, il tecnico che ingoia amaro, i compagni che minacciano di ammutinarsi, i tifosi infuriati. Con Lautaro infortunato e senza altri attaccanti capaci di garantire il gol, la Champions è appesa ai numeri di Maurito, come Maurito è appeso alla partita che conta di più, quella del suo amore. Spalletti non lo sapeva o, se lo sapeva, lo ha ignorato, ma il calcio e la vita s’incontrano sempre sul crocevia delle emozioni.


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