Inter, tre indizi fanno una crisi

Inter, tre indizi fanno una crisi© Inter via Getty Images
Ivan Zazzaroni
3 min

Lazio, derby e infine Bayern, un buon Bayern, non un grande Bayern: tre sconfitte (tutte meritate) in meno di due settimane e in mezzo soltanto il 3-1 alla Cremonese che non poteva autorizzare discorsi di ripresa, neppure parziale. L’Inter conosce la prima crisi stagionale, qualcosa di profondo, perfino le tante novità o le tante rinunce che Inzaghi si è concesso nella prima di Champions - ho la sensazione che si possa parlare più di bocciature da amarezza parziale che di turnover - non hanno prodotto gli effetti sperati: D’Ambrosio, Gosens, Mkhitaryan e Dzeko, sostituti dei vari De Vrij, Darmian, Barella e Correa impiegati contro il Milan, hanno assorbito le difficoltà del momento e la perdita di fiducia dei compagni, fin troppo trattenuti e confusi. Un discorso a parte merita Onana, all’esordio su richiesta del popolo che ha confermato di non reggere più Handanovic, ritenuto colpevole anche del cambiamento climatico e dell’aumento dei prezzi. Il portiere camerunese è stato impegnato fin dai primi minuti e se l’è cavata discretamente, ma per capire se può effettivamente prendere da subito il posto di Handa servono altre verifiche: trascuro per pudore la sua mezza papera del secondo tempo.  

Per quasi tutta la partita Caressa e Bergomi hanno sottolineato la forza del Bayern, secondo me esagerando: soltanto la lentezza dell’Inter, alla fine fischiata dal suo pubblico, ha esaltato la velocità di manovra dei bavaresi. Il Bayern oggi è un’ottima squadra che ha perso i 238 gol in 253 partite di Lewandoski (tripletta anche ieri sera) e ha provato a risolverla con Mané, che possiede tanta tecnica ma non ha la stessa produzione del polacco. Confesso che mi sarebbe piaciuto vedere Ronaldo in questo Bayern, dal momento che si era offerto quasi gratis, visti gli standard (6 milioni di stipendio più 6 di bonus legati alla vittoria della Champions): sono tra i pochi ancora convinti che Cristiano non sia finito.  

Torno all’Inter. È in atto un movimento la cui origine non mi sfugge: è l’ondata critica - non ancora uno tsumani – che sta travolgendo Simone Inzaghi. Accuse di varia natura: cambi sbagliati (Lazio-Inter), marcature incomprensibili (Gagliardini su Milinkovic, sempre all’Olimpico), difesa squagliatasi (9 i gol presi nelle ultime quattro uscite), difetti di condizione (Barella, Brozovic), sorprese fuori luogo (Correa dall’inzio nel derby) e molto altro.  

Ho letto addirittura che all’Inter sarebbe finito l’effetto Conte e che il tecnico attuale si ritroverebbe praticamente nudo alle prese con le proprie idee, le proprie indecisioni, i propri limiti. Se fosse vero, e non lo è, i giocatori sarebbero da considerare dei burattini in grado solo di rispondere alle sollecitazioni di Mangiafuoco e le coppe vinte la stagione scorsa da Inzaghi una sorta di appendice contiana. Nel calcio esistono la condizione atletica e quella mentale che non sempre rispettano desideri, tempi e programmi. 


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